Lella Costa

Parole che parlano di donne

L’attrice Lella Costa

di Luciana Satta

Non dimentica mai le ragioni per vivere, il tema dell’identità e della memoria, la solidarietà verso gli altri popoli e lo dimostra con il suo costante impegno civile a favore, soprattutto, di Emergency. Ma Lella Costa, una delle attrici più caratteristiche della scena teatrale italiana, amata dalla critica e dal pubblico per la sua intelligenza e ironia, non dimentica mai, soprattutto, i diritti delle donne, sia sul palcoscenico sia nella vita. «Io sono la mia storia, la mia formazione – spiega – e sono arrivata tardi a fare questo mestiere, perché prima ho fatto il liceo, l’università, la politica. Questo è il mio bagaglio, il mio vissuto, che mi porto addosso e a cui non rinuncerei mai».

Ma ha avuto difficoltà all’inizio della sua carriera?

Come tutti… io ho avuto la grande fortuna di capire che volevo fare il teatro e lo spettacolo dal vivo, tra l’altro facendo l’autrice, quindi non mi sono messa nella competizione schiacciante, divorante dei provini, non ho mai cercato scritture televisive e nemmeno cinematografiche. Per una donna è comunque più faticoso. Io lavoro dall’inizio della mia carriera con una piccola agenzia che è anche la mia casa di produzione, che è di donne, oltretutto, e abbiamo cominciato con un piccolo spettacolo e piano piano siamo andate avanti.

Questo penso sia molto femminile: la capacità di unire concretezza e positività.

Quindi lei pensa che esista la solidarietà tra donne?

La misoginia è una delle armi preferite della cultura occidentale, non vedo perché noi dobbiamo praticarla. È vero che siamo comunque in una situazione di inferiorità, perché dobbiamo conquistarci maggiore credibilità, è ovvio… sono le cosiddette guerre tra poveri… tra noi donne viene incitata la competizione, che spesso sfocia in rivalità, in aggressività. È chiaro che non ritengo che l’appartenenza al genere femminile in sé sia un valore assoluto, però io tendo comunque a privilegiare le donne come interlocutrici e, soprattutto, a trovare le attenuanti, perché credo che per le donne sia comunque più difficile…

In uno dei suoi spettacoli, “Alice una meraviglia di Paese”, ci racconta di una bambina che si sente a disagio, che ha la sensazione di essere sempre o troppo grande, o troppo piccola, o troppo grassa, o troppo magra… sensazioni e timori che ogni ragazza, ogni donna, ha provato nella propria vita.

“O troppo alta, o troppo bassa,
le dici magra, si sente grassa,
son tutte bionde, lei è corvina,
vanno le brune, diventa albina.
Troppo educata! piaccion volgari!
Troppo scosciata per le comari!
Sei troppo colta e preparata,
intelligente e qualificata,
il maschio è fragile, non lo umiliare,
se sei più brava non lo ostentare!
Sei solo bella ma non sai far niente,
guarda che oggi l’uomo è esigente,
l’aspetto fisico più non gli basta,
cita Alberoni e butta la pasta.
Troppi labbroni, non vanno più!
Troppo quel seno, buttalo giù!
Sbianca la pelle, che sia di luna
Se non ti abbronzi, non sei nessuna!
L’estate prossima, con il cotone
tornan di moda i fianchi a pallone,
ma per l’inverno, la moda detta,
ci voglion forme da scolaretta.
Piedi piccini, occhi cangianti,
seni minuscoli, anzi, giganti!
Alice assaggia, pilucca, tracanna,
prima è due metri poi è una spanna
Alice pensa, poi si arrabatta,
niente da fare, è sempre inadatta
Alice morde, rosicchia, divora,
ma non si arrende, ci prova ancora.
Alice piange, trangugia, digiuna,
è tutte noi,
è se stessa, è nessuna”.

(Tratto dal monologo “Alice una meraviglia di Paese”)

Secondo lei perché le donne vivono questo senso di inadeguatezza?

Lella Costa in “Alice una meraviglia di Paese”

Io penso che si sia marciato su questa ruolizzazione di genere così pesante, proprio per mantenere la stabilità dell’ordine sociale. Le donne vengono costrette a un ruolo che prevede un adeguamento a determinati canoni. Mi vengono in mente, ad esempio, le pubblicità dei detersivi, in cui viene data un’immagine della donna agghiacciante. Sembrano delle pazze, con le croste sui fornelli che bisogna pulire e i bucati che devono essere sempre più bianchi e, ancora, mi ricordo che un po’ di anni fa c’era un uomo che invitava la signora di turno a fare, addirittura, una gita dentro le tovaglie… noi donne dobbiamo liberarci di tutto questo, credo che l’ironia e l’autoironia siano armi indispensabili, però se la competizione deve essere fatta sul bucato più bianco, su come cucini, su come sei fisicamente, è chiaro che ti senti perennemente inadeguata. Però c’è qualcuno che su nostre potenziali insicurezze ci marcia…

Per quanto riguarda la politica… qual è la sua posizione in merito alle quote rosa?

Le quote rosa non mi piacciono pazzamente, però ho anche visto e verificato che se le quote rosa non ci sono le donne spariscono dalle liste elettorali, per cui non bastano, non garantiscono, ma se non altro sono un inizio. Credo anche che una delle cose gravi della politica sia quella di usare le donne come schermo, cioè c’è l’obbligo delle quote rosa, allora noi le mettiamo in lista ma poi non vengono sostenute e, oltretutto, facendo ricadere ancora una volta la colpa su di noi dicendo che le donne non votano le donne. Non puoi per secoli essere trattata come una minusapiens, che sa fare niente, che deve chiedere la delega maschile, perché gli uomini sanno, e poi pretendere che le donne abbiano fiducia nelle altre donne sebbene siano regolarmente sminuite, prese in giro e ridicolizzate.

 “Alice” è anche il nome di tante giovani donne che sono «nate quando i loro genitori pensavano che il mondo si potesse cambiare»… lei pensa che ci sia stato un cambiamento riguardo alla parità uomo-donna, o pensa che il cambiamento sia solo apparente?

No, il cambiamento non è apparente, ci sono in corso provvedimenti legislativi importanti. Sicuramente, però, la parità non è stata conquistata del tutto e, soprattutto, non la vedo garantita. Credo che ci siano sempre in atto nei momenti di crisi economica, in questo caso planetaria, dei tentativi di rimandare, di rinchiudere in casa le donne. I segnali sono tanti: c’è meno occupazione? Si mandano a casa le donne, indipendentemente dalle competenze. È spaventoso. Queste sono emergenze fondamentali per la società intera.  Sono assolutamente convinta che maggiori diritti e maggiori tutele per le donne siano maggiori diritti e maggiori tutele per tutti. Chi lavora in Paesi più svantaggiati, per esempio in tante zone dell’Africa, dice: “mandare a scuola un bambino significa educare un bambino, educare una bambina significa educare una comunità”… questa è una forza delle donne innegabile. Penso quindi che la parità non sia stata raggiunta, che ci sia un percorso in atto e che mai come in questo momento si debba vigilare perché venga proseguito.

(***Ho visto tante volte Lella Costa a teatro e mi ha sempre affascinato la sua abilità nell’arte della parola. Questa intervista mi fu da lei rilasciata nel 2008. La ripubblico perché le sue parole sono di un’attualità sconcertante e ogni sua risposta è un insegnamento. La scrissi per il giornale on-line donnenews e resta un bellissimo ricordo per me di un’esperienza giornalistica che mi ha dato tanto, soprattutto per tutto ciò che mi ha trasmesso l’allora direttrice della rivista, Rosanna Romano, amica e professionista che considero mia maestra. Le foto sono tratte dal web, purtroppo dopo tanti anni ho perso le mie, n.d.r.).

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Una giornata a S’Aspru (Siligo)

Visita alla Comunità Mondo X di Padre Morittu

di Luciana Satta

Dammi ragioni per vivere”: è la disperazione e la sfida che sale dal mondo delle dipendenze. Mondo X, l’associazione fondata da Padre Salvatore Morittu, nasce come iniziativa dei Frati Minori Francescani di Sardegna e accoglie in Comunità tossicodipendenti e malati di AIDS.

«Mi sono laureato in teologia a Firenze nel 1970 – racconta –  e poi i frati mi hanno mandato a studiare al Pontificio Istituto Biblico di Gerusalemme. Rientrato in Italia, mi sono laureato in Psicologia all’Università statale La Sapienza di Roma. Dopo questa esperienza, nel 1978, sono ritornato in Sardegna e ho insegnato Psicologia all’Istituto Magistrale. Proprio in quell’anno il mio confratello francescano padre Eligio Gelmini, il fondatore di Mondo X, aveva incontrato tutti i responsabili nazionali dei frati per illustrare loro la nuova situazione. Disse: “Noi siamo di fronte alla più grande rivoluzione che possa essere mai avvenuta, quella della droga”. Non voleva che i frati perdessero il treno della storia, loro che vivono per i poveri, per gli emarginati, per coloro che fanno fatica a vivere. Ha sollecitato tutti responsabili nazionali a realizzare in ogni loro regione una Comunità con uno o due frati con la vocazione verso questo settore. Paradossalmente la prima che ha risposto è stata la Sardegna». Padre Morittu racconta così l’inizio della sua lunga storia, un percorso di formazione all’inizio travagliato, ma molto significativo. «C’era un responsabile illuminato, padre Dario Pili, il quale mi ha coinvolto. Io trovavo il percorso interessante, ma riconoscevo anche la mia inadeguatezza a lavorare in questo settore, per me del tutto nuovo. Padre Dario mi ha mandato prima in visita e poi a vivere per due mesi in una delle Comunità di padre Eligio, vicino a Milano. Lui è stato molto bravo, perché mi ha messo dentro la struttura come se fossi tossicodipendente, non mi ha fatto sconti rispetto al modo di vivere in Comunità. Dopodiché insieme al responsabile ritennero che ci fossero le condizioni per avviare anche una Comunità in Sardegna. Così è successo, il 26 gennaio 1980».

Il video dell’incontro con padre Morittu e Fra Stefano

«Hanno messo a disposizione – prosegue padre Morittu – il convento di San Mauro, a Cagliari, dotato di un grande orto anche se si trovava in città. Mi aiutavano due ex tossicodipendenti che padre Eligio aveva mandato dalla Lombardia e una suora, con esperienza in una Comunità in Lombardia. Poi sono arrivati i volontari. L’arrivo dei tossicodipendenti, che allora erano soprattutto eroinomani, avvenne subito dopo l’inaugurazione. Nessuno pensava – continua – che per uscire fuori dall’eroina bisognasse fare una vita quasi “monastica”, tra formazione e lavoro, regole e disciplina. All’inizio venivano e andavano via. Poi tutto ha iniziato a funzionare e si è formato un gruppo. Dopo due anni non ci stavamo più. Ho chiesto al vescovo di Sassari una grande casa abbandonata in campagna con dodici ettari di terreno e lui me l’ha data in uso, a Siligo, vicino a Sassari, in località S’Aspru. All’inizio la convivenza era difficile. Dopo un rodaggio di cinque mesi, tutto è andato molto bene. Lì, in quel contesto agropastorale, che io desideravo per la capacità terapeutica, la Comunità si è allargata. Siamo andati avanti affinando sempre più il nostro metodo». «Sono partito – spiega ancora – con il metodo di Mondo X di padre Eligio applicato nella Penisola ma, dopo un paio di anni, ho iniziato con una modalità di interagire tipica di noi sardi, che abbiamo maggiore sensibilità per gli aspetti affettivi, piuttosto che per quelli disciplinari.

Ma c’è una storia particolare di salvezza che Padre Morittu ricorda con affetto: «Un giudice mi aveva particolarmente sollecitato a prendere un minorenne tossicodipendente. Ho accondisceso alla proposta e mi sono fatto carico di questo minore nella comunità di Cagliari. Allora i giovani venivano spesso in Comunità in crisi di astinenza, dunque la prima settimana era la più difficile e io dormivo con loro in una camera a due letti. Questo ragazzo era, appunto, in crisi di astinenza, per cui la notte ho dormito in stanza con lui, ma poi mi sono addormentato. Mi sono svegliato e lui era andato via. Sono uscito a cercarlo ma non l’ho trovato. Le  volontarie sono riuscite invece a riportarlo nella struttura. Quando l’ho visto di fronte a me gli ho dato uno schiaffo. Ho alzato il dito e ho detto: “Ricordati che io sono tuo padre”. Questo ragazzo ha avuto un cedimento, come se fosse venuta meno quasi tutta la sua energia. In quel momento ho realizzato: mi sono ricordato che lui era orfano. Questo è stato proprio il mio battesimo nella paternità. Questo ragazzo poi ha continuato il suo percorso, ha superato la crisi di astinenza. Poi è diventato anche un bravo artigiano della pelle». 

Per quanto riguarda la diffusione della droga, secondo padre Morittu il fenomeno è  peggiorato negli ultimi anni, tra silenzio e indifferenza. «Ci sono famiglie che vivono dagli introiti della droga – dice –.  Inoltre si registra un peggioramento anche dal punto di vista delle sostanze, con una grande presenza di eroina, in aumento, il picco della cocaina, le droghe di sintesi come l’Ecstasy. Per non dimenticare la piaga dell’alcolismo giovanile e femminile e delle dipendenze senza sostanza, come la ludopatia. In Sardegna ad aggravare questo quadro – aggiunge – abbiamo le doppie diagnosi, ovvero la concomitanza tra dipendenza dalle sostanze o dipendenze comportamentali e i disturbi della personalità. Inoltre abbiamo il grave problema dei minori che non sanno ciò che consumano, non sanno ciò che spacciano e inoltre vogliono attribuirsi la riscossione dei soldi».

Su un altro tema importante, la diffusione dell’HIV, padre Morittu è chiaro: «Il fatto che esista la cura e che di questa malattia si muoia sempre meno, riduce la percezione di questo grave problema. Un elemento di rischio sono i rapporti sessuali precoci tra adolescenti. Molti di loro, solo se un giorno faranno l’esame all’HIV scopriranno di essere siero positivi. Questo è il rischio che si corre. Siamo veramente preoccupati di questa coltre di silenzio che c’è intorno all’AIDS». 

(n.d.r. *Articolo pubblicato nel 2019 sul settimanale “Libertà”, direttore Antonio Meloni.

Le foto e il video risalgono invece alla recente e intensa visita nella Comunità Mondo X, a S’Aspru (Siligo), il 10 dicembre 2021, esperienza che in qualità di docente di Lettere ho avuto l’onore e il piacere di fare con la mia classe 3 V dell’Istituto Agrario Pellegrini di Sassari.

Grazie di cuore a padre Salvatore Morittu, a Fra Stefano, ai loro ragazzi per l’accoglienza speciale e per avere condiviso le loro esperienze di vita, trasmettendo ai “miei ragazzi” tutto quello che non si può insegnare neanche attraverso mille lezioni!

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La violenza di genere nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura

Se non puoi essere la sposa mia,

sarai almeno la mia pianta” (Apollo)

di Luciana Satta

Dafne, Ipazia, Francesca da Rimini, Giovanna D’arco, Anna Bolena, Indira Gandhi. Gli esempi di donne vittime di femminicidio sono molteplici, nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura, a dimostrare come il fenomeno della violenza sulle donne affondi le sue radici in epoche lontane.

Donne escluse dalla vita politica, dall’istruzione, private della propria individualità, appendici dell’uomo, incapaci di agire autonomamente.

Nelle Metamorfosi di Ovidio Apollo si invaghisce perdutamente di Dafne. La insegue senza tregua, ma Dafne chiede a suo padre Peneo di essere trasformata in albero d’alloro pur di sottrarsi alla passione non corrisposta. Da quel momento la pianta diventa sacra per Apollo. D’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i condottieri. «Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta”. “E l’alloro annuì con i suoi rami appena spuntati e agitò la cima, quasi assentisse col capo”.

Apollo e Dafne

Grande esempio di libertà di pensiero e di emancipazione femminile fu Ipazia d’Alessandria, scienziata e filosofa greca. Le sue parole “Se mi faccio comprare non sono più libera, e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera” hanno fatto la storia.

Risale al 415 la sua uccisione, per mano di fanatici religiosi, in un’epoca fortemente influenzata da Aristotele. Scrive Aristotele: “Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio così”.

Ipazia, scienziata e filosofa greca

Nella Grecia delle poleis, la donna era educata alle mansioni domestiche fino ai 13 anni e poi veniva data in sposa. Le donne non avevano il diritto di cittadinanza ed erano escluse dalla vita politica. Alcune tragedie greche lo testimoniano. La donna è istinto, portatrice di affetto.  In un certo senso “pericolosa”, in quanto elemento destabilizzante rispetto all’ordine incarnato dall’uomo. Antigone, ad esempio, viene imprigionata per aver sfidato il re di Tebe, e poi muore suicida; oppure le protagoniste della tragedia “Le Troiane”, di Euripide, il dramma che più di ogni altro mette in scena la violenza contro la donnaEcuba, moglie del re Priamo. Andromaca, sposa del valoroso Ettore morto in duello contro Achille. Cassandra, Figlia di Ecuba e di Priamo. Su ciascuna di loro incombe un destino di dolore: le donne dei vinti diventano bottino di guerra dell’esercito greco vincitore.

Uno degli episodi più significativi della storia di Roma e che mostra la completa subalternità della donna rispetto all’uomo, l’immagine della donna – merce, è il noto Ratto delle Sabine.  Romolo escogita un piano per popolare la città di Roma. Organizza un sontuoso banchetto in onore del re sabino Tito Tazio. Durante la festa alcuni giovani romani rapiscono le donne sabine. Ma nel caos generale è stata per errore rapita anche una donna sabina già sposata, Ersilia. Romolo, primo re di Roma, viene avvertito e rimedia all’errore prendendola in moglie. Una fanciulla poi di nome Tarpea, apre ai sabini le porte della città affinché riescano, alla guida del loro re, appunto, Tito Tazio, a liberare i propri familiari. Il destino di Tarpea è orribile: sarà schiacciata sotto gli scudi dei romani.  Da qui nasce la leggenda sulla cosiddetta rupe Tarpea, rupe dalla quale venivano gettati i condannati a morte con l’accusa di alto tradimento dello Stato. 

È storia nota poi che le donne riescono a fermare i due schieramenti nemici, frapponendosi tra loro. Si giunge così alla pace. Romolo e Tito Tazio regnano sulla città di Roma e i Sabini e Romani si fondono in un solo popolo.

Ca’ Rezzonico – Ratto delle Sabine – Nicolo Bambini

Un interessante approfondimento in tema di femminicidio in epoca romana è certamente quello condotto dalla dottoressa Anna Pasqualini, docente di Antichità romane. La studiosa ha messo in luce una serie di casi di femminicidio nell’antica Roma, attraverso lo studio delle epigrafi latine. La docente, ad esempio, ha svelato dall’analisi di un epitaffio la vicenda di Giulia Maiana, che viveva in Francia, a Lione. L’epitaffio recita così: “Donna specchiatissima uccisa dalla mano di un marito crudelissimo”. 

La letteratura è ricca di esempi celebri di violenza di genere: ad esempio la figura di Desdemona in Shakespeare, che lascia la casa di suo padre per sposare Otello, ma sceglie di non chiedere a suo padre il consenso per sposare il Moro di Venezia, decide in autonomia, per poi finire uccisa per mano del suo stesso marito, accecato dalla gelosia.

E poi proseguendo nell’analisi di esempi celebri, non possiamo naturalmente dimenticare Dante e il canto V dell’Inferno, il noto canto di “Paolo e Francesca”. Al v. 106 Francesca da Rimini racconta a Dante: “Amor condusse noi ad una morte”. Figlia di Guido da Polenta il Vecchio, signore di Ravenna, Francesca andò sposa al rozzo e deforme Gian Ciotto Malatesta, signore di Rimini, dal quale ebbe una figlia. Innamorata di suo cognato, Paolo Malatesta, fu con lui uccisa dal marito, tra il 1283 e il 1286. L’autore inserisce Paolo e Francesca nell’Inferno perché mentre per la società del tempo, per la chiesa, il peccato di adulterio viene condannato, Dante sembra avere compassione di lei e in un certo senso la assolve. Anche se in realtà alcuni ritengono che il termine pietà usato da Dante, non indichi “compassione, ma turbamento angosciato.

Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,

prese costui de la bella persona

che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende”.

Paolo e Francesca, Dante Inferno, Canto V

Come dimenticare poi il dramma di Anna Bolena – uno dei più efferati femminicidi della storia. Seconda moglie di Enrico VIII, fu accusata dal marito di presunte infedeltà coniugali e condannata a morte.  In segno di clemenza il re optò per decapitazione in sostituzione della la condanna al rogo, al posto di quella per, dunque permise che venisse usata la spada e non la comune scure. La spada, arma più nobile, degna di una regina. Quel mattino il sovrano andrà a caccia con la corte, il giorno dopo si fidanzerà con quella che diventerà poi la sua terza moglie.

Anna Bolena

Donne – streghe. Tra il XV e il XVIII secolo dilaga in tutta Europa per ben quattro secoli la fase più violenta della cosiddetta Caccia alle Streghe. Inizia in Germania e in Italia e si espande poi rapidamente in Francia, in Inghilterra, nel nord Europa, in Spagna. Esempio su tutti della fine terribile a cui venivano destinate le donne, fu Giovanna D’Arco, l’eroina nazionale francese condannata al rogo a soli 19 anni. La “pulzella d’Orleans”, nella Guerra dei Cento Anni porta le truppe francesi alla vittoria contro l’assedio degli Inglesi. Ma viene catturata e venduta agli inglesi e processata per eresia. Ma nell’Ottocento l’attivista americana per i diritti delle donne Matilda Joslyn Gage avanza per prima la tesi che la caccia alle streghe fosse in realtà strumento di repressione e sottomissione delle donne.

Il mondo dell’arte racconta da secoli la violenza di genere. Ci restituisce, ad esempio, la storia di Artemisia Gentileschi, talentuosa pittrice del Seicento. La sua attività inizia nella bottega del padre e lì termina, in seguito alla violenza di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva.  devono subire pesanti condanne morali, i metodi inumani del Tribunale dell’Inquisizione, come la terribile tortura della “Sibilla”, alla quale la pittrice fu sottoposta.

Artemisia Gentileschi

E ancora il ritratto di Costanza di Gian Lorenzo Bernini immortala quel volto di donna nella sua bellezza eterna. Il volto di una donna ritratta in un momento d’intimità, in abiti semplici. Costanza era moglie dello scultore lucchese Matteo Bonarelli, collaboratore di Bernini alla fabbrica di San Pietro. Quando si conoscono, nel 1638,  Costanza ha 22 anni ed è sposata da quattro, Bernini ha 38 anni. Ma lo scultore vede la donna uscire dalla casa di Luigi, fratello dello stesso Bernini. Gian Lorenzo attua così la sua vendetta: assolda un servo che deturpa per sempre il volto della donna.

Costanza

Gli esempi sono molteplici nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura. Co dimenticare la figura di una donna coraggiosa, Indira Gandhi,  premier indiano in carica dal 1966 al 1977 – assassinata a Nuova Delhi il 31 ottobre del 1984 dalle sue guardie del corpo di etnia Sikh. Sette proiettili colpiscono l’addome, dieci il petto e altri arrivano dritti al cuore.

“Il lavoro di un uomo è fra il sorgere e il tramontare del sole. Quello della donna non finisce mai”. (Indira Gandhi)

Indira Gandhi

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Paolo Isoni

L’eleganza è “l’essenza di ogni donna che rimane eterna”

di Luciana Satta

Per lui non è importante l’abito ma la personalità della donna che lo indossa. Perché “senza l’unicità della donna l’abito sarebbe solo un pezzo di stoffa”.

Il granito, il mare, il cielo, la natura selvaggia delle Isole, la Sardegna e la Sicilia. I sogni, “che ti permettono di vivere la vita in maniera più divertente e anche più leggera, ma che hanno bisogno di un nutrimento quotidiano e di tanta disciplina”. Questo esprimono gli abiti di Paolo Isoni. Come la sua ultima collezione Isoni: Ên bateaû.

Un amore per lo stile che lo ha portato dal suo paese d’origine, Monti, prima a  Londra, poi a Porto Rotondo e a Milano, a vestire le dive del jet set internazionale.

Paolo Isoni (intervista di Luciana Satta, anno 2017)

Tu dici: “L’eleganza, a differenza della moda, è eterna”. Non fai vestiti alla moda ma vuoi vestire le donne. Cosa significa?
L’eleganza è qualcosa che non muore, è l’essenza di ogni donna che rimane eterna. Mi vengono in mente donne che per la loro eleganza e il loro glamour sono rimaste immortali, come Jackie Kennedy o Grace Kelly. Non hanno mai seguito la moda, ma la moda l’hanno fatta. La loro eleganza ha prevalso sull’abito. Sono immortali ed eterne, esempi di grande classe.

L’attrice Lunetta Savino indossa Paolo Isoni (foto gentilmente concessa dallo stilista)

La Sardegna è la tua grande ispirazione. Le tue stampe, i tuoi colori, la raccontano. In che modo il carattere della donna sarda vive nelle tue collezioni? 
Sicuramente per la forza. Quello che mi piace trasporre nella mia moda, nei miei vestiti, è proprio il carattere e la forza della Sardegna e di queste donne che hanno sempre realizzato grandi cose, basti pensare a Grazia Deledda. Donne che hanno scelto di fare ciò che era la loro passione, i loro sogni, e di portarli a conoscenza nel mondo.

Una di queste donne che esprimeva forza era una tua grandissima amica, Marta Marzotto… 
Avevo quattordici anni e vivevo a Monti. Un giorno, sfogliando un giornale, ho visto l’immagine di questa donna meravigliosa con i suoi caftani, coloratissimi. Quando a diciassette anni sono arrivato a Porto Rotondo e si è creata l’occasione, l’ho conosciuta e da quel momento non ci siamo mai lasciati, lei non mi ha mai lasciato. Mi ha insegnato tantissime cose. Lei rappresenta il mio ideale di donna, perché era una donna libera, una donna intelligente e una donna che per le sue passioni ha anche perso molto nella vita, ma ha vissuto esattamente come lei desiderava. Era una che, ad esempio, a 85 anni aveva la curiosità di un bambino. Ogni qual volta scopriva qualcosa di nuovo traeva una vitalità incredibile.

Un’altra donna che frequenta il tuo atelier, un’altra tua amica, è l’attrice Chiara Francini. Come l’hai conosciuta?
Ci siamo conosciuti due anni fa. Da quel momento ho iniziato a vestirla in vari eventi: l’inverno scorso, quando ha fatto da madrina al festival di Torino e a Tavolara, dove lei era madrina. È anche lei una donna indipendente, intelligentissima, molto ironica e una grande lavoratrice.

Chiara Francini nell’ultimo film vestita da Paolo Isoni (foto gentilmente concesse dallo stilista)

L’ironia è una caratteristica fondamentale della donna Isoni?
Sono chi è molto intelligente è anche molto ironico. Marta lo è stata e credo lo sarà per sempre. Marta è una donna che rappresenta un ideale che non muore con la sua assenza fisica.

L’atelier di Isoni a Porto Rotondo (Sardegna) ph. Luciana Satta
(In vetrina una delle collezioni del passato)
Io con Paolo Isoni, in atelier, in occasione dell’inaugurazione della collezione primavera estate (anno 2017)

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Le note del pianista Roberto Piana.

Alla conquista del mondo

Roberto Piana. Le mani e il pianoforte. Ph. Giulio Bottini

di Luciana Satta

Sarà inaugurato a breve un imponente ciclo di pubblicazioni sulle maggiori piattaforme digitali del mondo con tutte le registrazioni inedite del pianista e compositore Roberto Piana. Si tratta “Piano Rarities”, una vasta raccolta (oltre cinque ore di musica) di rarità pianistiche e prime assolute del repertorio musicale, che va dal Barocco ai giorni nostri, alcune delle quali in prima registrazione mondiale. Il contenuto, proveniente dal personale archivio di Piana, è di notevole importanza e prevede numerose perle del musicista. Il progetto sarà curato dal Centro Studi Saser – Centro Studi Cultura Sarda, di cui Roberto Piana è direttore artistico. Intanto è stata rinviata (per via della pandemia e in data da definire) la prima americana della suite “Ritratti di Sardegna” del pianista, performance che si sarebbe dovuta tenere il primo ottobre nel celebre Teatro Carnegie Hall di New-York.

Roberto Piana. Ph. Andrea Angeli

Piana, autore di musica pianistica, vocale, da camera, corale e sinfonica, è comunque reduce da un lungo periodo di concerti di successo e di riconoscimenti prestigiosi, come la pubblicazione, a settembre, del cd “Trio for Tango” (casa discografica Luna Rossa Classic), che contiene la trascrizione di Roberto Piana del celebre “Oblivion” di Astor Piazzolla.

Interprete di questo lavoro il Parsifal Piano Trio. Di Piana anche le note di copertina. Ancora, nel mese di settembre è stata pubblicata dalla celebre casa discografica major olandese Brilliant Classics la suite “Ritratti di Sardegna”, interpretata dal chitarrista Cristiano Porqueddu, e la suite Contos de foghile, con Francesca Apeddu al flauto e Maria Luciani alla chitarra. Al 76th Duszniki International Chopin Piano Festival, a Duszniki-Zdrój (in Polonia), si è tenuta la prima esecuzione mondiale degli “Sguardi sulla Divina Commedia” di Roberto Piana, eseguita dal pianista Antonio Pompa-Baldi, mentre a Sofia (in Bulgaria) nella sede dell’Ambasciata Italiana si è svolto a giugno il concerto per i festeggiamenti della festa della Repubblica Italiana. Per l’occasione sono stati eseguiti i “Preludi pittorici” di Piana, che hanno visto l’interpretazione del pianista Alessandro Vena.

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