“Serenades”

Un viaggio per mare con la voce di Franca Masu

La motonave Delphinus della Navisarda è sbarcata a Cala Dragunara per un concerto unico che ha visto protagonisti la voce inconfondibile di Franca Masu e la fisarmonica di Fausto Beccalossi

Franca Masu e Fausto Beccalossi
(ph. Luciana Satta)

di Luciana Satta

Vivo con intimità la presenza dell’acqua. Sono nata sul mare per raccontare storie di mare. Alghero è la linfa che scorre dentro di me, non voglio e non posso pensare a un altro posto nel mondo con questa pace, questa luce mi serve per scrivere e per vivere bene“. Così Franca Masu accoglie il suo pubblico sulla Delphinus. “Serenades” sarà il primo concerto a bordo della motonave della Navisarda che collega il porto turistico di Alghero con le grotte di Nettuno e il primo a Cala Dragunara. Lo spettacolo è un’Anteprima del Festival Més a prop.

La cantante algherese sale a bordo, abito lungo, nero. Ma sarà il rosso il protagonista della serata, il rosso del tramonto che ci lasciamo alle spalle, delle luci puntate sul suo volto. Il colore dello scialle che la avvolge. Perché questa è la sua serata, un evento che ha desiderato fortemente e immaginato da tempo. Non è solo un concerto, ma un dialogo intimo, dove a fare da padrone sono i ricordi dell’artista e la magia della musica. 

Sono le 20 della sera quando la nave salpa dal porto turistico per raggiungere l’insenatura di Dragunara, su cui domina il promontorio di Capo Caccia. Non poteva non essere lei, Franca Masu, a battezzare con la sua voce questo luogo, uno degli scenari più suggestivi della Sardegna; lei, che non riesce a immaginare nessun’altra lingua per esprimere, ancora una volta, quanto forti siano le sue radici e quanto grande l’amore per la sua città:  “Quando canto in algherese – sottolinea – sento di essere algherese. Ho la sensazione di vivere dove Alghero finisce… sono davanti a questo azzurro, da una parte il porto, il rumore dei motori delle barche, i pescatori che vanno via la mattina presto“.  

Dalla nave, mentre ci avviciniamo alla costa, si scorgono nella notte le sagome delle sculture di pietra realizzate dalla figlia della cantante, Chiara. Da lontano sembrano spettatori in attesa. Il pubblico prende posto  e Cala Dragunara si trasforma in un teatro naturale. Ad accompagnare Franca Masu in questo splendido “concerto per mare” la fisarmonica del grande musicista Fausto Beccalossi.

 E così le Serenades abbracciano il Mediterraneo, da Alghero all’Argentina, dal  Portogallo, alla Turchia. Toccano i cuori degli spettatori quando la cantante intona i classici della musica napoletana (Dicitencello vuje,  Malafemmena) o le canzoni più personali, come Vida, da lei stessa composta. Durante il viaggio di ritorno i motori della nave si spengono e nel silenzio della notte la cantante rende omaggio a uno spettatore d’eccezione: l’amico stilista Antonio Marras.  A  lui dedica Volesse il cielo di Mia Martini.

Il viaggio in musica sta per concludersi. Le luci della città si avvicinano, la Delphinus rientra nel porto, ma il sipario non cala, si apre su Alghero.  Quel blu – dice Franca Masu – quel non so che tra cielo e mare, quel piccolo dolore strano che si prova quando la si guarda lasciandola, dal porto… e l’incanto di quando la si ritrova, dal mare, tutta illuminata. E ci ha tolto il fiato”.

(*Anno 2017)

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L’amore per la Sardegna attraverso l’arte dei murales

Le sue figure femminili esprimono tanta dolcezza, ma altrettanta fierezza.

Il murales di Pina Monne dedicato a Maria Carta

di Luciana Satta

«Ho sempre messo al primo posto il mio sogno: raccontare l’amore per la Sardegna attraverso l’arte. Ed è quello che faccio tuttora. Ho ricevuto tantissime proposte per potermi trasferire definitivamente all’estero, ma ho sempre rifiutato. Senza la mia Sardegna non sarei Pina Monne muralista». Per lei, che dal 1996 ha realizzato centinaia di murales in oltre novanta paesi dell’Isola, da bambina dipingere e colorare significava tutto. «Ho trascorso la mia infanzia a Irgoli – ricorda –,  paese nel quale sono nata. Alla scuola materna la maestra portava me e altri quattro bambini in una sala dove c’era il laboratorio di arte. Lì si dipingevano i cartelloni. Alle elementari la maestra mi fece scrivere un tema, il titolo era: “Cosa vuoi fare da grande?”. Io avevo già chiare le idee, volevo fare l’artista, volevo essere pittrice». 

Pina Monne ph. Rosy Brau

Una strada che, inizialmente, non fu compresa dalla famiglia. «Dovevo iscrivermi alle superiori e a casa mia arrivò l’insegnante di educazione artistica per parlare con i miei genitori. Volevo che mi permettessero di studiare l’istituto d’arte, ma loro non vollero sentire ragioni. Mi dissero che dovevo frequentare le magistrali per poter avere un’opportunità di lavoro. Io allora rinunciai a quel sogno e con grande fatica mi diplomai alle magistrali. La vivevo come una costrizione». Ma la passione di Pina Monne per l’arte resta forte, anche quando inizia a lavorare come insegnante in un asilo nido. Cinque anni lunghissimi, trascorsi comunque senza mai abbandonare i pennelli e le tele, fino a quando capisce che la sua strada è un’altra. «Ho detto a me stessa: “Non è quello che io amo fare!”. Poi, nella vita di questa artista straordinaria, arriva la svolta.  «Ho scelto di seguire ciò che da sempre desideravo. Ho partecipato a un concorso di murales a Tinnura, l’ho vinto. Da quel momento non mi sono mai fermata, è stato come un decollo e ora mi trovo a volare ad alta quota da tantissimi anni…». Sono trascorsi diciassette anni da allora. Pina Monne, artista eclettica, ceramista, pittrice, di strada ne ha fatta tanta. Un percorso che l’ha portata al muralismo, a raccontare le nostre tradizioni attraverso il ritratto, perché, dice:  «Mi piace cogliere l’anima attraverso i visi dei vecchi bruciati dal sole. Basta osservarli. Se li scruti con attenzione riescono a raccontarti tutto quello che vuoi sapere della loro vita, della fatica, del sacrificio. Arrivano alla fine della loro esistenza con una serenità d’animo che oggi molti di noi non hanno ancora raggiunto. In noi c’è una profonda insoddisfazione, mancano i punti di riferimento. Questi anziani riescono, invece, a infonderti ancora sicurezza, certezza». I volti degli anziani e i volti della donna sarda. Le sue figure femminili  esprimono tanta dolcezza, ma altrettanta fierezza. Come nell’opera La ragazza di Fonni, olio su tela scelto dalla curatrice d’arte Marta Losignore per la Galleria multimediale Mad di Milano, dove resterà in esposizione per un anno. 

«Credo che la donna sarda, soprattutto nella provincia di Nuoro da dove io provengo, abbia veramente grandi doti manageriali. Io ammiro tantissimo questa  capacità e cerco sempre di rappresentarle in quella maniera. Grazia Deledda è il simbolo. Era quasi fuori tempo, era molto avanti rispetto alle donne di quel periodo, lei era già oltre… ». Ma il riassunto di tutto ciò che per l’artista di Irgoli rappresenta la donna sarda è la Donna di Oniferi ritratta a cavallo. «Sono legata a tutte le mie opere – afferma –. Se uno le osserva dall’inizio sino alla fine, riesce a capire la mia crescita artistica nel tempo. Ma, se devo essere sincera, mi piace tantissimo il murale che ho fatto a Oniferi… ha una storia importante. Il sindaco voleva che rappresentassi una persona a cavallo e si era partiti dal presupposto che dovesse essere un uomo. Tutti i ragazzi del paese volevano essere scelti. Io, alla fine dipinsi una donna. Aveva perso il marito. Esprimeva una forza interiore che mi colpì tantissimo, era una persona straordinaria, con un animo grande. Un esempio di donna sarda coraggiosa che è diventata insieme padre e madre per i suoi figli. L’ho portata in campagna e abbiamo fatto degli scatti in abito tradizionale. Poi, ho selezionato accuratamente la foto che preferivo per realizzare il murale. I suoi occhi parlavano, raccontavano chi era e cosa aveva dentro». 

Pina Monne è anche l’autrice del murale di Maria Carta, a Siligo. «Stavo lavorando a Bessude, ma mi serviva un rullo e non trovai un negozio di ferramenta in paese. Dunque andai nella vicina Siligo, ma trovai il negozio chiuso. Così decisi di fare una passeggiata e giunsi nella piazza. Lì, in un angolo, c’era la piccola statua in bronzo dedicata alla cantante. Poi mi voltai e vidi una parete. Pensai a Maria Carta, alla sua voce, a lei che ha rappresentato la musica sarda all’estero, a lei che amava tantissimo la Sardegna. Mi avvicinai in Comune, chiesi di poter parlare col sindaco, ma non lo trovai. Mi chiamò in seguito e dissi che mi sarebbe piaciuto regalare una grande opera alla memoria di Maria Carta, perché la meritava. Mi portò a casa del fratello della cantante, il quale mi mostrò le foto dell’artista. Tra queste abbiamo scelto insieme quel bellissimo scatto. Ho notato subito quello sguardo. Il sindaco mi ha detto che sarebbe stato bellissimo se fossi riuscita a realizzare il murale dopo tre giorni, in occasione dell’inaugurazione della piazza. Allora lavorai giorno e notte, con i fari puntati sulla parete. Il giorno dell’inaugurazione il murale era pronto». 

Ma per Pina Monne il muralismo non è fondamentale solo perché le permette di esprimere  attraverso i colori e le figure quello che sente per la sua terra, ma perché «è il momento in cui qualsiasi spettatore si ferma e mi pone delle domande e diventa curioso, si interessa a quello che sto realizzando. Per me quell’attimo è importante: quando c’è il dialogo con quella persona che senti vicina, che non ti conosce. Infatti per me il mio lavoro non è mai motivo di noia, ma di scoperta, di ricerca. Al primo posto c’è passione, il motore che mi spinge tutti i giorni a salire sull’impalcatura e che mi spinge ad affrontare lunghi viaggi». È la grande superficie ad affascinare Pina Monne, quella che all’età di vent’anni l’ha portata a conoscere i muralisti più famosi:  Angelo Pilloni, Archimede Scarpa, Luciano Lixi, Pinuccio Sciola, Ferdinando Medda. Da lì è iniziata la sua carriera di autodidatta e anche l’amicizia con i due grandi muralisti Angelo Pilloni e Archimede Scarpa. «Utilizziamo il murale allo stesso modo, non come simbolo di protesta, ma come arredo urbano, per rivalutare le zone deturpate dei paesi». Così le loro opere diventano delle scenografie all’aperto che raccontano in maniera chiara quella che è stata la tradizione del posto. «Così è nato il mio grande amore, che è rimasto latente in me per qualche anno ma poi, all’età di trentatré anni è sbocciato, esploso, con il concorso di murales a Tinnura, da dove sono partita e dove ancora adesso mi ritrovo».

(*Anno 2017)

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