MASSIMO MANCA I coltelli di Pattada orgoglio dell’Isola nel mondo

di Luciana Satta

Il martello che batte sull’incudine. La sega nastro che taglia il corno. La raspa e la lima per le rifiniture. Quelli che per tutti sono percepiti come “rumori”, per un maestro forgiatore come Massimo Manca si trasformano in suoni. Suoni familiari che ogni giorno, da vent’anni, lo accompagnano nel suo laboratorio alla ricerca della perfezione nella costruzione di un oggetto diventato l’orgoglio dell’Isola nel mondo: sa resolza, il coltello di Pattada (***A serramanico, la sua lama viene realizzata in diverse lunghezze).

 

Simbolo di identità culturale, con la sua tipica lama “a foglia di mirto”, sa resolza ha una storia secolare. «L’utilizzo dei materiali – spiega l’artigiano – era il corno, che si ricavava dal bestiame per realizzare i manici. Il metallo, perché in antichità in Sardegna erano presenti vari giacimenti ferrosi. Le prime attestazioni risalgono al 1800. Era il coltello che il pastore possedeva per qualsiasi esigenza. Ora è un oggetto prezioso, ma realizzato con materiali semplici. Quella è la base».

«La mia intenzione – prosegue – era (ed è) di trasformarlo, utilizzando anche materiali preziosi. Considera che uno dei miei coltelli ha 331 diamanti. Ci vuole il mercato giusto, non sono oggetti che espongo nel mio laboratorio, perché chi viene qui da me cerca il coltello classico. Chi viene a Pattada vuole il coltello tradizionale, cerca la Storia».

 

 

Una tradizione destinata all’estinzione, come tante – purtroppo. «È un’arte che si perderà, la mia attività inizia con me e finirà con me. Nessuno mi ha mai chiesto di imparare, molti artigiani e tradizioni si perderanno».

Lucio Dalla aveva, sulla sua scrivania, un coltello realizzato da Massimo Manca. «È ancora nel suo studio – racconta l’artista di Pattada – glielo regalò un cugino. Lo utilizzava come tagliacarte».

 

 

Da Montecarlo a Dubai, da Londra alla Corsica. Oggetto da collezione, orgoglio dell’Isola, il coltello di Massimo Manca è arrivato in diverse parti del mondo. Dalla famiglia reale del Principato di Monaco, dal principe arabo Hamdan Al Maktoum di Dubai. «Sette anni fa ho ottenuto una vetrina esclusiva nell’hotel Burj Al Arab. Avevo sempre la passione per questo hotel, è particolare perché ha una forma che riproduce una vela. Ho provato a realizzare un coltello, perché la vela ne ricorda la forma. Ho conosciuto un signore che trascorre le giornate in questo hotel e tramite lui sono stato contattato dal direttore».

 

 

«Sono stato invitato a Dubai e ho consegnato personalmente un coltello al direttore del Burj Al Arab; inoltre, attraverso l’interprete, gli è stata raccontata la storia ed è rimasto affascinato. Non sapeva come sdebitarsi per questo omaggio e mi ha proposto di realizzare lo stesso coltello, in formato più piccolo, poi mi ha chiesto di creare circa dodici pezzi, destinati alla vendita nelle boutique dell’hotel. Per un piccolo artigiano come me è stato un evento incredibile».

 

 

«Nel 2007 Ferrari organizzò un tour mondiale, con circa duecento Ferrari che hanno girato il mondo. Ogni Stato o regione interessato offriva un omaggio della propria tradizione. Sono arrivati in Sardegna, da Porto Cervo a Cagliari. Mi hanno scelto per realizzare i coltelli, sono gli unici al mondo con il marchio Ferrari».

 

 

Gli appassionati sono numerosi e alcuni coltelli sono delle rarità. «Vengono venduti ai collezionisti, molti vogliono acquistare il coltello di Pattada perché hanno sentito la storia. Molti lo acquistano per regalarlo. A Bolotana, ad esempio, ho creato dodici coltelli per uno sposo che ha voluto donarli come “bomboniera”. È un simbolo. Richiedono moltissimo anche i set da tavola. Poco prima dell’estate ho creato 120 pezzi per un ristorante in Corsica, un altro centinaio per l’Harris bar di Londra, altri pezzi ancora per un privato, sempre a Londra».

 

 

«Da quattro anni la mia attività sta andando tantissimo, grazie soprattutto ai sacrifici e all’impegno. Ho iniziato in un momento molto complicato della mia vita. Avevo alle spalle un lavoro andato male ma, grazie a Dio, ho sempre avuto una buona manualità e il lavoro manuale è sempre stato fondamentale per me ma, non essendo figlio di un artigiano, è stato difficilissimo. Lo considero “un dono”».

Un dono, per il quale Massimo Manca ringrazia soprattutto sua madre, che vent’anni fa lo ha incoraggiato a intraprendere quest’arte e a realizzare i suoi meravigliosi coltelli.

 

 

***Questo testo non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza la citazione della fonte e dell’autrice. Tutte foto sono state gentilmente concesse da Massimo Manca, che ha autorizzato la pubblicazione.

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