Il mio Blog si veste di nuovo!

Ci sono storie scritte e storie ancora da scrivere… tante sono rimaste impresse sulla carta, altre sono state nascoste, custodite, amate o odiate, da qualcuno sottratte, alcune consumate, altre ancora scopiazzate. Ma restano. Hanno gambe veloci e occhi grandi, le storie scritte. Rompono silenzi. Valicano muri. Evolvono. Frutto del passato, con lo sguardo orientato verso il nuovo. Si cambia strada, sempre!
Quello che leggerete è frutto del mio lavoro e della mia passione.
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*BENVENUTI e BENVENUTE!*

Luciana Satta

 

Ad occhi chiusi per sentire il suono dell’ANIMA

NICOLA AGUS

di Luciana Satta

ph. Nicola Castangia

Era un giorno di fine estate del 2019 quando il suo “Viaggio intorno al mondo in ottanta strumenti”, spettacolo di musica e immagini da lui ideato, è arrivato alla trentaseiesima edizione di Voci d’Europa, a Porto Torres, uno dei festival più longevi di musiche polifoniche della Sardegna. Lì ho conosciuto l’energia di Nicola Agus, il suo mondo straordinario di compositore e di polistrumentista e quell’universo affascinante di suoni e di strumenti musicali, che aprono un varco nell’immaginazione e dal Mediterraneo ti fanno volare nelle aree nordiche e celtiche, dalla Spagna alla Scozia e ancora dall’America giungere fino in Cina. Chiudi gli occhi e ti ritrovi in un’altra dimensione. In spazi sconfinati. È un percorso in cui le sonorità della Sardegna “svestono gli abiti della tradizione ed entrano in un mondo di suoni moderni e contemporanei, in cui lo strumento è valorizzato in ogni suo aspetto tecnico e sonoro”. È vento che soffia, o mare in tempesta, è il respiro dell’infinito. Il suono dell’Anima. Dall’Occidente all’Oriente. Dalla Gaita de Cuerno, strumento spagnolo dell’Andalucia all’UDU, lo strumento a percussione delle donne nigeriane, dal Shakuhachi Flute, al Koto, l’arpa giapponese, dall’Hichiriki ad ancia doppia, all’Eram, lo strumento inventato quattro anni fa da Nicola Agus con le canne portate da una mareggiata improvvisa fino al Poetto di Cagliari… «A me interessa – spiega – che la mia musica conduca in punti lontani dell’anima, la devi sentire sulla pelle. Ti devi lasciare trasportare, voglio che sia un’esperienza, altrimenti non avrebbe senso. La posso suonare ovunque, anche chiuso in una stanza, ma la gente la percepisce, viaggia… poi quando a fine concerto qualcuno si avvicina e mi dice: “Ah, mi hai portato lontano…” io sono felice. Il significato è questo: con me bisogna lasciare fluire, farsi trasportare. E poi, siccome viaggiare costa (ride, n.d.r.), almeno con la mia musica sognano di essere in un luogo lontano nell’immaginario, sentono una cornamusa e attraverso quel suono magari immaginano di trovarsi in Irlanda, o in Scozia».

ph. Nicola Castangia

Il tuo percorso nella musica ha origine molto tempo fa, quando eri piccolo. Cosa ricordi di quando eri bambino e cosa ti ha affascinato del mondo dei suoni?

«Da bambino ero attratto dai suoni, ero curioso, avevo voglia di capire. Ero irrequieto, non stavo mai fermo, mai tranquillo. Ho messo alla prova i nervi dei miei genitori! Ma ho manifestato e capito da subito che la musica era la mia vita. Giocavo… con le costruzioni non creavo case, ma strumenti musicali, come i flauti, avevo già questa propensione. A casa c’erano gli strumenti classici, perché gli zii si dilettavano a suonarli, a mio padre piaceva la chitarra, non era eccelso, ma gli piaceva canticchiare a modo suo, credeva di essere bravo. Ma la mia passione non è nata dall’osservazione. Per me è qualcosa di innato, sei affascinato da un suono e lo sviluppi. In realtà tutti noi già quando siamo nel ventre materno percepiamo i suoni che provengono dall’esterno. Appartengono alla nostra memoria. La voce della madre poi tranquillizza il bambino e riesce a farlo addormentare. Non è la ninnananna in sé che lo calma, ma è la voce che è abituato a sentire. Assorbiamo tutti i suoni, è una curiosità che ci appartiene da sempre. La musica ha un ruolo importante. Poi, logicamente, un conto è essere curiosi, un conto è cercare di riprodurre quei suoni e farne una professione. Quello arriva con il tempo e con lo studio e l’approfondimento. Per me la musica è linguaggio, è la mia seconda lingua. È una grande forma di comunicazione, un modo per lanciare un messaggio. Il mio obiettivo è di farti trovare in un’altra dimensione e “staccare” la mente da tutto. Già nelle tribù africane era una forma di comunicazione molto potente, perché la voce non poteva essere percepita a grandi distanze, mentre il suono dei tamburi raggiungeva chilometri di distanza. La musica nasce dove l’uomo non può arrivare».

ph. Nicola Castangia

I tuoi strumenti provengono da tutto il mondo, ma molti sono da te costruiti. Dove li hai acquistati o come li recuperi?

Questa degli strumenti musicali è una “malattia”. Viviamo il mondo come se fosse a nostra immagine e somiglianza, ma all’interno del nostro sistema non siamo soli, arrivano tante influenze da parte di diverse culture. La sardità che diventa “egocentrismo” non mi appartiene e non mi interessa, non mi sento in un ombelico del mondo da cui tutto ha origine, dove tutto nasce e si sviluppa. Io guardo oltre il mare. Prendere strumenti da ogni parte del mondo deriva da una mia ricerca musicale, ma anche dalla domanda: “Se fossi nato lì come avrei utilizzato questo strumento?”. Tutto nasce dalla mia curiosità, mi piace vedere come in parti diverse del mondo esistano strumenti anche molto simili tra loro. Nella Via della Seta, ad esempio, ci sono tanti strumenti affini, dal mondo arabo sino all’Oriente. Si presentano in forme diverse ma la timbrica è la stessa e lo stesso è il principio. Non mi fermo solo a questo tipo di ricerca, mi piace crearne anche di nuovi, strumenti che non esistono, con forme differenti, ma anche apparentemente banali: dal suono che posso ricavare da una bottiglia d’acqua o da quella sonorità che posso creare dal nulla. Tutto viene naturale, ma bisogna anche studiare. La ricerca va in una determinata direzione se c’è dietro uno studio. Altrimenti stai creando ponti che non hanno un significato».

Sei entrato in contatto con qualcuno che ti ha insegnato qualcosa per quanto riguarda anche la costruzione degli strumenti?

«No, perché ognuno ha un suo pensiero. Mi hanno sempre appassionato la fisica e la chimica, che sono importanti per la musica. La fisicità dello strumento ne determina anche la timbrica, la chimica e il tipo di sostanze che possono entrare e possono danneggiare gli strumenti, come gli agenti atmosferici. Oppure se, ad esempio, se utilizzo la plastica in una certa modo, posso ottenere lo stesso suono prodotto da una chitarra in legno. Sono modi differenti di vedere le cose».

Come nasce la tua musica, da quali evocazioni?

«Innanzitutto il mio è un filone “New Age Spiritual Colossal”, rientra nel mondo della Cinematografia e appartiene al mondo Contemporaneo, olistico documentaristico. “Olistico”, perché è una musica che induce al rilassamento, da non confondere con la “musica rilassante per massaggi”, perché la mia non è lineare, cambia, accelera, rallenta. Tende a riportare l’uomo alle sue origini naturali, affinché risvegli in lui una forma di spiritualità e non sia concentrato solo sul progresso e sul denaro».

ph. Nicola Castangia

Tu sei stato fuori, hai viaggiato… come mai poi hai scelto di ritornare in Sardegna?

In realtà non ho scelto di rientrare in Sardegna. Si sono combinate alcune situazioni per cui mi sono arrivate delle proposte dalla Regione… ma penso che le mie idee fossero troppo innovative, io non sono un suonatore di launeddas tradizionale, sono un musicista che utilizza le launeddas in maniera diversa. La mia è una ricerca innovativa, dove lo strumento prende forma come se fosse una chitarra elettrica, o una cornamusa, o un sax, o un’armonica a bocca. Questo a volte fa storcere il naso ai tradizionalisti. Ma non è che io rifiuti la Sardegna… noi nasciamo liberi, in una terra chiamata “mondo”. A me interessa stare nel mondo. La Sardegna ce l’hai già dentro, ma io sono nato nell’ottantadue e ho avuto la possibilità di sperimentare e di capire perché la musica si è evoluta in una determinata maniera.

Arte, musica e riciclo. Tra i tanti strumenti che hai ideato, con le canne del Poetto tempo fa hai creato uno strumento che hai chiamato “Eram”…

Nel 2019 in seguito ad una mareggiata la spiaggia del Poetto fu completamente invasa dalle canne. È stato un forte momento di aggregazione, i bambini giocavano con le canne come se non le avessero mai viste. Ero rimasto molto colpito, perché era la prima volta che non ero stato io a cercarle per costruire i miei strumenti, ma loro erano giunte fino a me. Avevo voluto rendere omaggio a quel momento particolare, pensando anche al fenomeno dell’immigrazione, perché le canne spiaggiate ricordavano anche i corpi delle vittime portate dal mare, che oggi purtroppo è un cimitero a cielo aperto. Allora ho pensato di creare l’unico strumento che potesse parlare di quello che sta vivendo il mare, una sorta di strumento a corda… la corda può simulare le onde del mare, perché quando la fai vibrare produce un’onda e il suono viene propagato. Ho deciso di sperimentare e di creare uno strumento a corda utilizzando la canna e come tastiera un rostro, la spada del pesce spada e ho realizzato così uno strumento del mare… in seguito ne ho creato tantissimi.

Mi piace anche far cantare la voce dell’acqua utilizzando una semplice bottiglietta di acqua

naturale.

Sei anche autore delle musiche de “I venerdì della storia – Le bugie” dell’attore e autore Gianluca Medas, voce narrante dello spettacolo. In questo caso come nascono le tue composizioni per questo appuntamento alla manifattura Tabacchi di Cagliari?

Lì è un altro lavoro sull’improvvisazione diretta, in simbiosi con l’artista. Non ci sono prove. È fatto tutto sul momento e a me piace perché spazio e posso giocarmela sempre in maniera diversa. Misteri irrisolti e strumenti diversi, e ogni volta musiche e sensazioni nuove.

Ph. Nicola Castangia

Licia Colò ti ha chiamato diverse volte nelle sue trasmissioni. Sei stato invitato a portare la tua musica nello studio di “Il mondo insieme”, proprio per quella tua capacità di riuscire a fare suonare qualsiasi oggetto della quotidianità e ovviamente per i tuoi strumenti musicali dedicati ai vari paesi del mondo. Come è stata questa esperienza?

Inizialmente mi hanno invitato in trasmissione per suonare la carta e altri oggetti semplici e comuni. È stata una bella esperienza, sono stati gentilissimi, ma prevalentemente cercavano qualcosa che potesse stupire… suonare un pezzo di carta, o il vetro o un uovo magari è una forma spettacolare che colpisce maggiormente in tv. Poi, lei (Licia Colò) era rimasta colpita dall’Eram, perché unisce alla ricerca sonora una riflessione più profonda sull’emigrazione. Quando ho avuto la possibilità di suonare l’Eram ho potuto dare un senso più profondo e strutturato a ciò che voglio esprimere. È stata una pubblicità positiva e poi è una strada tutto da costruire. Io credo che non bisogna restare statici, ma perseverare e migliorare, sempre con umiltà. Io non suono esclusivamente per esibirmi in concerto, suono perché amo la musica. La vivo con umiltà e spensieratezza. Se il pubblico viene, bene, altrimenti suono lo stesso.

***Questo testo e gli scatti non possono essere riprodotti, senza l’autorizzazione dell’autrice e del fotografo, che ne detengono i diritti. Il testo e il materiale fotografico sono apparsi sulla rivista Iod (numero di settembre 2023).

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