L’eleganza è “l’essenza di ogni donna che rimane eterna”
Nelle foto: a sinistra uno scatto dell’ultimo shooting “Ên bateaû” di Isoni; a destra lo stilista Paolo Isoni
di Luciana Satta
Per lui non è importante l’abito ma la personalità della donna che lo indossa. Perché “senza l’unicità della donna l’abito sarebbe solo un pezzo di stoffa”.
Il granito, il mare, il cielo, la natura selvaggia delle Isole, la Sardegna e la Sicilia. I sogni, “che ti permettono di vivere la vita in maniera più divertente e anche più leggera, ma che hanno bisogno di un nutrimento quotidiano e di tanta disciplina”. Questo esprimono gli abiti di Paolo Isoni. Come la sua ultima collezione Isoni: Ên bateaû.
La collezione di Paolo Isoni “Ên bateaû”, immagini ultimo shooting
Un amore per lo stile che lo ha portato dal suo paese d’origine, Monti, prima a Londra, poi a Porto Rotondo e a Milano, a vestire le dive del jet set internazionale.
Paolo Isoni (intervista di Luciana Satta, anno 2017)
Tu dici: “L’eleganza, a differenza della moda, è eterna”. Non fai vestiti alla moda ma vuoi vestire le donne. Cosa significa? L’eleganza è qualcosa che non muore, è l’essenza di ogni donna che rimane eterna. Mi vengono in mente donne che per la loro eleganza e il loro glamour sono rimaste immortali, come Jackie Kennedy o Grace Kelly. Non hanno mai seguito la moda, ma la moda l’hanno fatta. La loro eleganza ha prevalso sull’abito. Sono immortali ed eterne, esempi di grande classe.
L’attrice Lunetta Savino indossa Paolo Isoni (foto gentilmente concessa dallo stilista)
La Sardegna è la tua grande ispirazione. Le tue stampe, i tuoi colori, la raccontano. In che modo il carattere della donna sarda vive nelle tue collezioni? Sicuramente per la forza. Quello che mi piace trasporre nella mia moda, nei miei vestiti, è proprio il carattere e la forza della Sardegna e di queste donne che hanno sempre realizzato grandi cose, basti pensare a Grazia Deledda. Donne che hanno scelto di fare ciò che era la loro passione, i loro sogni, e di portarli a conoscenza nel mondo.
Una di queste donne che esprimeva forza era una tua grandissima amica, Marta Marzotto… Avevo quattordici anni e vivevo a Monti. Un giorno, sfogliando un giornale, ho visto l’immagine di questa donna meravigliosa con i suoi caftani, coloratissimi. Quando a diciassette anni sono arrivato a Porto Rotondo e si è creata l’occasione, l’ho conosciuta e da quel momento non ci siamo mai lasciati, lei non mi ha mai lasciato. Mi ha insegnato tantissime cose. Lei rappresenta il mio ideale di donna, perché era una donna libera, una donna intelligente e una donna che per le sue passioni ha anche perso molto nella vita, ma ha vissuto esattamente come lei desiderava. Era una che, ad esempio, a 85 anni aveva la curiosità di un bambino. Ogni qual volta scopriva qualcosa di nuovo traeva una vitalità incredibile.
Paolo Isoni con la sua indimenticabile amica Marta Marzotto (foto gentilmente concesse dallo stilista)
Un’altra donna che frequenta il tuo atelier, un’altra tua amica, è l’attrice Chiara Francini. Come l’hai conosciuta? Ci siamo conosciuti due anni fa. Da quel momento ho iniziato a vestirla in vari eventi: l’inverno scorso, quando ha fatto da madrina al festival di Torino e a Tavolara, dove lei era madrina. È anche lei una donna indipendente, intelligentissima, molto ironica e una grande lavoratrice.
Chiara Francini nell’ultimo film vestita da Paolo Isoni (foto gentilmente concesse dallo stilista)
L’ironia è una caratteristica fondamentale della donna Isoni? Sono chi è molto intelligente è anche molto ironico. Marta lo è stata e credo lo sarà per sempre. Marta è una donna che rappresenta un ideale che non muore con la sua assenza fisica.
L’atelier di Isoni a Porto Rotondo (Sardegna) ph. Luciana Satta (In vetrina una delle collezioni del passato)
Io con Paolo Isoni, in atelier, in occasione dell’inaugurazione della collezione primavera estate (anno 2017)
“Scultore-costruttore, erede dei suoi lontani progenitori costruttori di nuraghi, e fedele alla vocazione trasmessagli dal padre-muratore”. Quando si parla di Costantino Nivola (Orani, 1911 – Long Island, 1988), l’immagine che viene subito in mente è quella delle straordinarie sculture e dei monumenti pubblici da lui realizzati. Ma, sebbene l’artista oranese non amasse identificarsi nel ruolo di illustratore, non si può dimenticare la sua imponente attività grafica. A questo aspetto è stata anche dedicata la mostra “Seguo la traccia nera e sottile – I disegni di Costantino Nivola”, allestita al Palazzo della Frumentaria di Sassari nel 2011 e curata da Giuliana Altea. Un allestimento che ha messo in luce questo aspetto inedito della produzione di Nivola. Un percorso tra le sue opere meno note, un itinerario attraverso 115 lavori grafici compresi tra il 1941 e il 1980, a partire dagli autoritratti (Autoritratto della solitudine, tempera su carta, 1944, e Autoritratto “Ritz”, 1944-45, tempera su carta incollata su cartone).
Nivola, arrivato dunque in America come esule antifascista, si dedica al lavoro di illustratore e grafico, a cui affianca il disegno. Resta traccia del frutto del suo lavoro di illustratore nelle riviste “Interiors”, “You”, “The New Pencil Points”, “Harper’s Bazaar”, “Forune” e “American Cookery”.
In America Nivola entra in contatto con tanti artisti e architetti europei emigrati anch’essi per sfuggire al Nazismo. E così inizia a mettere in dubbio il proprio valore creativo. Ma l’incontro con Le Corbusier è determinante e il dubbio lascia il posto alle certezze.
Nivola e Le Corbusier Museo Nivola, Orani ph. Luciana Satta
ph. Luciana Satta
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ph. Luciana Satta
ph. Luciana Satta
Del suo viaggio in Italia – in cui torna nel 1947 con l’intento di trasferirsi a Milano – ma la situazione del Paese appena uscito dalla guerra lo convince a tornare negli Stati Uniti – resta la serie di disegni pubblicati da “Interiors” (1947) e Harper’s Bazaar (1948). La nostalgia di Nivola per la Sardegna emerge invece nella serie di disegni che illustrano il progetto del Paese-pergolato, pensato per il suo paese natale, Orani.
Come dimenticare poi gli splendidi arazzi di lana, realizzati nei centri di arte tessile di Sarule e di Samugheo. Figure geometriche e tecniche della tradizione sarda si incontrano.
Gli arazzi e le sculture. Museo Nivola, Orani ph. Luciana Satta
Il Museo Nivola, a Orani, è un percorso bellissimo attraverso oltre duecento opere, tra sculture e dipinti. È conserva la più imponente collezione al mondo delle opere di Costantino Nivola. Ruth Guggenheim, vedova dell’artista, ha scelto prevalentemente l’opera scultorea e statuaria, caratteristica della fase finale – con la serie delle Madri e delle Vedove.
Nel 1954 Nivola inaugura la sua carriera di scultore per l’architettura: è chiamato alla decorazione dello showroom Olivetti, aperto al centro di New York, nella Fifth Avenue. Dal 1936 al 1938 l’artista lavora a Milano come grafico pubblicitario all’Olivetti
Campagna pubblicitaria per Olivetti. Museo Nivola, Orani. ph. Luciana Satta
C’è un luogo magico a Tramariglio: la casa del maestro Elio Pulli
Il Cinghiale (mostra Torre San Giacomo, Bastioni Alghero, 2019)
La mimosa
Le foglie
La melagrana
di Luciana Satta
Tramariglio è un luogo magico immerso nella macchia mediterranea, a pochi chilometri da Alghero, nel cuore della baia di Porto Conte. Un giorno ho chiuso gli occhi e ho intrapreso un viaggio in un altrove bellissimo. Ho scoperto che dalla mimosa nasce il giallo, dalle foglie il verde, dalla melagrana il rosso. Un viaggio affascinante tra i colori della terra che il maestro Elio Pulli sa trasformare in opere d’arte. Ho aperto gli occhi ed era tutto vero e mi è sembrata incredibile quella cura per il particolare, quell’attenzione per il dettaglio.
Sculture, dipinti, vasi e grandi piatti, dai “colori fastosi e bagliori di lustri, iridescenze di metalli preziosi. Oggetti originati dall’incontro di alto artigianato e fervore creativo, virtuosismo tecnico e poetica dello stupore”. Così Simona Campus, storica dell’arte, ha saputo descrivere quelle meraviglie.
Lo spazio espositivo di Elio Pulli, a Tramariglio ph. Luciana Satta
Al centro dell’ispirazione di Elio Pulli, la Sardegna e il Mediterraneo, con i loro cromatismi accesi e caldi, i colori della terra, i rossi e gli ori lucenti, i bianchi della spuma del mare e delle rocce calcaree. Sono lavori frutto di una complessa tecnica detta “a terzo fuoco”, basata su una cottura delle opere che rende i toni più intensi. La Mantide, il Cinghiale, il Falco, il Folle, il Cavaliere, la splendida serie di “Teste di donna”, sono tutte terraglie dipinte sottovernice e lustro a terzo fuoco, creature plasmate in quello che è il rifugio creativo di Pulli, la sua abitazione a Tramariglio, nella baia di Porto Conte, spazio in parte atelier e in parte laboratorio circondato dalla bellezza della natura, luogo da cui il maestro trae ispirazione. Nel laboratorio d’arte del Maestro tanti incontri, come quello avvenuto nel 2015 con Miyayama Hiroaki, uno dei più grandi artisti giapponesi contemporanei.
La Mantide ph. Luciana SattaTesta di donna ph. Luciana SattaTesta di donna ph. Luciana Satta ph. Luciana SattaLo scarabeo ph. Luciana Satta
L’arte: una compagna inseparabile per il Maestro. Un amore per la cultura ereditato certamente da suo nonno Giuseppe, maestro elementare, poeta appassionato di arte, di musica, di letteratura. Una passione trasmessa sicuramente dal padre Giovanni, artista e allievo dello scultore Guacci, da cui ricevette un incarico che lo portò a trasferirsi da Roma a Sassari, dove aprì la sua bottega.
Così Elio, che quell’amore per l’arte lo aveva respirato in famiglia, a soli diciotto anni conquista il Premio Michetti a Francavilla a Mare. Da qui al successo il passo è breve: arriva Premio Marzotto e, nel 1959, il Premio Cinisello Balsamo. Nel 1955 a Roma, nella galleria del critico d’arte Giuseppe Sciortino, un dipinto di Elio Pulli viene esposta insieme ai lavori di Guttuso e De Chirico.
L’Isola è una costante, presente nelle ceramiche, dai vasi ai piatti, ma anche nelle tele, dalla famosissima “Barca da pesca all’ormeggio di Porto Torres” (2010), alle varie “Nature morte”, fino alla rappresentazione della città di “Periferia di Sassari dopo la nevicata”. Opere che si sono affermate nel panorama dell’arte isolana, nazionale e internazionale, per l’assoluta originalità che le contraddistingue. Opere che sono state esposte anche al Vittoriano di Roma. Un riconoscimento importante, nato dal successo straordinario della mostra “Elio Pulli, ceramica” al Palazzo della Frumentaria di Sassari, nel 2011.
Oggi, 15 novembre 2021, in occasione dell’inaugurazione del 460esimo Anno Accademico dell’Università degli Studi di Sassari, Elio Pulli è stato insignito della Laurea honoris causa, alla presenza del Magnifico Rettore, Gavino Mariotti, della presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, del presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas. Pulli ha tenuto una lectio doctoralis dal titolo: “L’arte e le difficoltà nel tempo”. A seguire la laudatio del critico d’arte Vittorio Sgarbi.
Anno 2008, con il Maestro Elio Pulli nello spazio espositivo di Tramariglio.
Il mio articolo per Il Messaggero Sardo sulla Mostra alla Frumentaria, a Sassari. Anno 2011.
I volti segnati dalla vita si alternano alle immagini della natura, mentre il novantunenne di Baunei Pietro Cabras canta Sa canthone de is bagadias (“La canzone delle nubili”). Poi la voce si disperde nell’eco e diventa vento che soffia forte. È il ritmo dei protagonisti del documentario “Il Club dei centenari”, che racconta le vite dei centenari ogliastrini. Ci sono anche le donne sarde, portatrici di un’eleganza e di valori che ormai si sono persi.
«È un mondo rarefatto – spiega il regista Pietro Mereu, autore del docufilm “Il Club deicentenari”, prodotto da Ilex production grazie al comune di Lanusei, alla provincia dell’Ogliastra e alla Regione Sardegna. Ho voluto raccontare la bellezza della testimonianza dei centenari e delle centenarie utilizzando inquadrature particolarmente curate e un ritmo molto lento».
Perdasdefogu, Villagrande, Arzana, Talana, Urzulei, Villanova e Baunei conservano il segreto della longevità. Un segreto studiato da anni dagli scienziati, che ne hanno ricercato le ragioni nella genetica, nel cibo, nell’ambiente, nello stile di vita degli ogliastrini. Il docente dell’Università di Sassari Gianni Pes ha iniziato a studiare le cosiddette “zone blu” nel 1995. «Abbiamo creato delle mappe geografiche che dimostrano in maniera inequivocabile che la concentrazione dei centenari in questi comuni è superiore non solo ai valori medi europei ma addirittura a livello mondiale», spiega lo studioso.
Resta impressa la scena del documentario che vede protagoniste le centenarie Caterina Murru e Rosa Secci di Urzulei, riprese mentre bevono il caffè e scherzano.«È stato molto difficile entrare in empatia con loro – racconta il regista –. Erano circondate da molte persone e vedevano i corpi esterni delle telecamere… avevano molto pudore… per fare sì che si esprimessero liberamente ci siamo dovuti allontanare dalla stanza». O ancora, la signora Francesca Manca (106 anni) diventa preziosa memoria storica quando ricorda l’assedio di Arzana. Era il 1926: stavano cercando Samuele Stochino, uno tra i più celebri banditi sardi.«L’anno dell’assedio – ricorda la centenaria – eravamo rimasti chiusi tre giorni in casa. Non potevamo neanche andare a prendere l’acqua alla fontana. Poi, dopo tre giorni, ci hanno dato il permesso, ma avevamo sempre un carabiniere che ci scortava. Io andavo con Cecilia Fara che disse, sputando per terra “Siate Maledetti! Andate alla forca!” (ride ndr).
Anche la testimonianza di Gesuina Fronteddu, di Talana, è un documento prezioso per capire la vita semplice di un tempo.«L’acqua la portavamo con una brocca, al nostro rientro dalla campagna con una tinozza grande… poi in cammino filavamo e facevamo la bertula (bisaccia tipica dei pastori) di lana di capra… quindi camminavamo e filavamo in gruppo, ma se capitava si poteva andare anche da sole perché non c’erano pericoli. Si andava sempre alla stessa ora e in gruppo, per la campagna… chiacchiera, chiacchiera».
«Non sono ricchi, ma sono felici, perché hanno famiglie molto unite – conclude il regista – . Nella casa di un centenario devi entrare in punta di piedi, sono persone delicate. Per le famiglie sono come dei gioielli da tutelare. Dovremmo cercare di preservare le zone blu, sono una risorsa e un esempio….. sono portatori di valori che ormai si stanno perdendo… Questa è la bellezza della loro semplicità».
(Alcuni di loro non ci sono più, ma li voglio ricordare pubblicando questo mio articolo. Grazie al regista Pietro Mereu che ce li ha fatti conoscere attraverso il suo bellissimo docufilm “Il club dei centenari n.d.r.)
(*Anno 2017)
La locandina dell’evento “Ogliastra, Isola della Longevità, 2 dicembre – Milano
L’invito – 2 dicembre ore 18, Milano Scalo Lambrate Ogliastra Isola della Longevità
L’amore per la Sardegna attraverso l’arte dei murales
Le sue figure femminili esprimono tanta dolcezza, ma altrettanta fierezza.
Il murales di Pina Monne dedicato a Maria Carta
di Luciana Satta
«Ho sempre messo al primo posto il mio sogno: raccontare l’amore per la Sardegna attraverso l’arte. Ed è quello che faccio tuttora. Ho ricevuto tantissime proposte per potermi trasferire definitivamente all’estero, ma ho sempre rifiutato. Senza la mia Sardegna non sarei Pina Monne muralista». Per lei, che dal 1996 ha realizzato centinaia di murales in oltre novanta paesi dell’Isola, da bambina dipingere e colorare significava tutto. «Ho trascorso la mia infanzia a Irgoli – ricorda –, paese nel quale sono nata. Alla scuola materna la maestra portava me e altri quattro bambini in una sala dove c’era il laboratorio di arte. Lì si dipingevano i cartelloni. Alle elementari la maestra mi fece scrivere un tema, il titolo era: “Cosa vuoi fare da grande?”. Io avevo già chiare le idee, volevo fare l’artista, volevo essere pittrice».
Pina Monne ph. Rosy Brau
Una strada che, inizialmente, non fu compresa dalla famiglia. «Dovevo iscrivermi alle superiori e a casa mia arrivò l’insegnante di educazione artistica per parlare con i miei genitori. Volevo che mi permettessero di studiare l’istituto d’arte, ma loro non vollero sentire ragioni. Mi dissero che dovevo frequentare le magistrali per poter avere un’opportunità di lavoro. Io allora rinunciai a quel sogno e con grande fatica mi diplomai alle magistrali. La vivevo come una costrizione». Ma la passione di Pina Monne per l’arte resta forte, anche quando inizia a lavorare come insegnante in un asilo nido. Cinque anni lunghissimi, trascorsi comunque senza mai abbandonare i pennelli e le tele, fino a quando capisce che la sua strada è un’altra. «Ho detto a me stessa: “Non è quello che io amo fare!”. Poi, nella vita di questa artista straordinaria, arriva la svolta. «Ho scelto di seguire ciò che da sempre desideravo. Ho partecipato a un concorso di murales a Tinnura, l’ho vinto. Da quel momento non mi sono mai fermata, è stato come un decollo e ora mi trovo a volare ad alta quota da tantissimi anni…». Sono trascorsi diciassette anni da allora. Pina Monne, artista eclettica, ceramista, pittrice, di strada ne ha fatta tanta. Un percorso che l’ha portata al muralismo, a raccontare le nostre tradizioni attraverso il ritratto, perché, dice: «Mi piace cogliere l’anima attraverso i visi dei vecchi bruciati dal sole. Basta osservarli. Se li scruti con attenzione riescono a raccontarti tutto quello che vuoi sapere della loro vita, della fatica, del sacrificio. Arrivano alla fine della loro esistenza con una serenità d’animo che oggi molti di noi non hanno ancora raggiunto. In noi c’è una profonda insoddisfazione, mancano i punti di riferimento. Questi anziani riescono, invece, a infonderti ancora sicurezza, certezza». I volti degli anziani e i volti della donna sarda. Le sue figure femminili esprimono tanta dolcezza, ma altrettanta fierezza. Come nell’opera La ragazza di Fonni, olio su tela scelto dalla curatrice d’arte Marta Losignore per la Galleria multimediale Mad di Milano, dove resterà in esposizione per un anno.
«Credo che la donna sarda, soprattutto nella provincia di Nuoro da dove io provengo, abbia veramente grandi doti manageriali. Io ammiro tantissimo questa capacità e cerco sempre di rappresentarle in quella maniera. Grazia Deledda è il simbolo. Era quasi fuori tempo, era molto avanti rispetto alle donne di quel periodo, lei era già oltre… ». Ma il riassunto di tutto ciò che per l’artista di Irgoli rappresenta la donna sarda è la Donna di Oniferi ritratta a cavallo. «Sono legata a tutte le mie opere – afferma –. Se uno le osserva dall’inizio sino alla fine, riesce a capire la mia crescita artistica nel tempo. Ma, se devo essere sincera, mi piace tantissimo il murale che ho fatto a Oniferi… ha una storia importante. Il sindaco voleva che rappresentassi una persona a cavallo e si era partiti dal presupposto che dovesse essere un uomo. Tutti i ragazzi del paese volevano essere scelti. Io, alla fine dipinsi una donna. Aveva perso il marito. Esprimeva una forza interiore che mi colpì tantissimo, era una persona straordinaria, con un animo grande. Un esempio di donna sarda coraggiosa che è diventata insieme padre e madre per i suoi figli. L’ho portata in campagna e abbiamo fatto degli scatti in abito tradizionale. Poi, ho selezionato accuratamente la foto che preferivo per realizzare il murale. I suoi occhi parlavano, raccontavano chi era e cosa aveva dentro».
Pina Monne è anche l’autrice del murale di Maria Carta, a Siligo. «Stavo lavorando a Bessude, ma mi serviva un rullo e non trovai un negozio di ferramenta in paese. Dunque andai nella vicina Siligo, ma trovai il negozio chiuso. Così decisi di fare una passeggiata e giunsi nella piazza. Lì, in un angolo, c’era la piccola statua in bronzo dedicata alla cantante. Poi mi voltai e vidi una parete. Pensai a Maria Carta, alla sua voce, a lei che ha rappresentato la musica sarda all’estero, a lei che amava tantissimo la Sardegna. Mi avvicinai in Comune, chiesi di poter parlare col sindaco, ma non lo trovai. Mi chiamò in seguito e dissi che mi sarebbe piaciuto regalare una grande opera alla memoria di Maria Carta, perché la meritava. Mi portò a casa del fratello della cantante, il quale mi mostrò le foto dell’artista. Tra queste abbiamo scelto insieme quel bellissimo scatto. Ho notato subito quello sguardo. Il sindaco mi ha detto che sarebbe stato bellissimo se fossi riuscita a realizzare il murale dopo tre giorni, in occasione dell’inaugurazione della piazza. Allora lavorai giorno e notte, con i fari puntati sulla parete. Il giorno dell’inaugurazione il murale era pronto».
Ma per Pina Monne il muralismo non è fondamentale solo perché le permette di esprimere attraverso i colori e le figure quello che sente per la sua terra, ma perché «è il momento in cui qualsiasi spettatore si ferma e mi pone delle domande e diventa curioso, si interessa a quello che sto realizzando. Per me quell’attimo è importante: quando c’è il dialogo con quella persona che senti vicina, che non ti conosce. Infatti per me il mio lavoro non è mai motivo di noia, ma di scoperta, di ricerca. Al primo posto c’è passione, il motore che mi spinge tutti i giorni a salire sull’impalcatura e che mi spinge ad affrontare lunghi viaggi». È la grande superficie ad affascinare Pina Monne, quella che all’età di vent’anni l’ha portata a conoscere i muralisti più famosi: Angelo Pilloni, Archimede Scarpa, Luciano Lixi, Pinuccio Sciola, Ferdinando Medda. Da lì è iniziata la sua carriera di autodidatta e anche l’amicizia con i due grandi muralisti Angelo Pilloni e Archimede Scarpa. «Utilizziamo il murale allo stesso modo, non come simbolo di protesta, ma come arredo urbano, per rivalutare le zone deturpate dei paesi». Così le loro opere diventano delle scenografie all’aperto che raccontano in maniera chiara quella che è stata la tradizione del posto. «Così è nato il mio grande amore, che è rimasto latente in me per qualche anno ma poi, all’età di trentatré anni è sbocciato, esploso, con il concorso di murales a Tinnura, da dove sono partita e dove ancora adesso mi ritrovo».