“Dall’Ucraina per danzare sulle note della libertà”

L’étoile Olga Golytsia

ph. Ksenia Orlova

Tutte le più grandi Ètoile del Mondo hanno danzato almeno una volta su uno dei brani del repertorio classico tra i più celebri e noti della Storia della danza: The Dying Swan, La morte del cigno, con quell’inconfondibile movimento delle gambe basato sul “pas de bourèe suivi” e la precisione nelle movenze delle braccia e delle mani. Ma quelle di Olga Golytsia, prima ballerina dell’Ukrainian Classical Ballet, non sono braccia. Non sono mani. Sono ali. Si alza il sipario. Vederla danzare è dimenticare e ricordare al tempo stesso. Perché con quelle stesse gambe Olga è dovuta fuggire dalla sua terra, l’Ucraina, e con quelle braccia ha protetto sotto le bombe suo figlio undicenne per salvarsi dalla Guerra e andare incontro al suo sogno di libertà. Ha trovato rifugio dai suoi cari, a Francoforte. «Quando è iniziata la Guerra non sapevo affatto cosa fare… ho pensato: “Dove sarà il rifugio antiaereo più vicino?” “Sarà meglio lasciare l’Ucraina o restare?”. Il padre di mio figlio vive a Francoforte. Chiamava costantemente e chiedeva di venire in Germania. Ma all’inizio mi sembrava che la Guerra non potesse essere vera e credevo che tutto sarebbe finito presto. I bombardamenti erano continui. All’inizio stavamo sempre chiusi nel bagno, poi, quando ho capito che non era un posto sicuro, siamo usciti e abbiamo passato la notte nel parcheggio. Due settimane dopo ho deciso di andarmene. Vivo in un quartiere di Kiev, non lontano da Irpin e Bucha… ero molto spaventata. Il nostro viaggio è durato quattro giorni! A Kiev siamo riusciti a prendere solo il terzo treno… c’era molta gente! Erano tutti inorriditi e presi dal panico. Gli aeroporti sono stati bombardati il ​​primo giorno. Abbiamo viaggiato in treno e in autobus fino a Francoforte».

ph. Ksenia Orlova

Olga Golytsia è arrivata poi in Italia con l’Ukrainian Classical Ballet grazie alla rete di solidarietà che ha coinvolto molti Teatri. In Sardegna ha aperto, insieme alle stelle del balletto ucraino, la stagione della Grande Danza del CeDac (l’Ukrainian Classical Ballet raccoglie artisti delle Compagnie ucraine più prestigiose: dall’Opera nazionale al Teatro Taras Shevchenko, dal Teatro dell’Opera e Balletto di Odessa, al Teatro Accademico di Kharkiv fino all’Opera Nazionale di Lviv, n.d.r.). Protagonisti della straordinaria esibizione, al Teatro Comunale di Sassari e al Massimo di Cagliari, i grandi capolavori della storia del balletto, tra spettacolari assoli e passi a due. Al momento dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Compagnia era in tournée in Francia. Il tour italiano non era in programma, è stato organizzato grazie all’impegno del teatro comunale di Ferrara.

«Quando è iniziata la guerra in Ucraina non ho pensato affatto al balletto. Pensavo solo a me e a mio figlio, a come sopravvivere… quando, dopo un mese e mezzo di Guerra, mi è stato offerto di andare in tournée, non capivo come fosse possibile! Ma poi ho pensato: “Cosa posso fare di buono per l’Ucraina? Posso aiutare in qualche modo?”. Ho capito come questa potesse essere una meravigliosa opportunità per presentare la cultura ucraina in Italia, per parlare degli orrori della Guerra e di ciò che ho vissuto personalmente. Spero che questi tour abbiano supportato almeno un po’ il mio Paese». Nel mese di marzo 2023 al Comunale di Ferrara è stato proiettato un documentario realizzato da Gianluca Lul e Angela Onorati e prodotto dallo stesso Teatro Comunale nell’aprile 2022, a pochi giorni dallo scoppio della Guerra, durante la presenza della Compagnia ucraina a Ferrara.  Attraverso le parole, gli occhi e l’arte dei ballerini dell’Ukrainian Classical Ballet il documento racconta l’inizio della Guerra.

ph. Andrey Stanko

Come è nato il tuo amore per la danza? Che cosa sognavi da piccola, desideravi diventare una ballerina?

«Avevo cinque anni quando mia madre mi portò in una Scuola di danza per la Propedeutica. All’inizio non mi piaceva molto. Era noioso e doloroso. Ma gli insegnanti dissero che avevo caratteristiche fisiche adatte al balletto. Perciò mia madre ha continuato a portarmi in Studio, anche quando tutti i miei amici hanno smesso di studiare. Poi, all’età di sette anni, sono entrata alla Pavel Virsky Ensemble School, un ensemble di danza ucraino (Pavlo Pavlovych Virsky, PAU, è stato un ballerino sovietico e ucraino, maestro di balletto, coreografo e fondatore del Pavlo Virsky Ukrainian National Folk Dance Ensemble, il cui lavoro nella danza ucraina è stato rivoluzionario e ha influenzato generazioni di ballerini, n.d.r.). Sono persino andata in tournée… e mi è piaciuta molto! A dieci anni sono entrata al Kyiv State Ballet College. Lì hanno instillato in me l’amore per la danza classica. Quando ero una ragazzina, non mi piaceva molto fare balletto. Era un desiderio di mia madre. Ma col tempo mi sono innamorata della mia professione! Sono molto grata a mia madre per avermi incoraggiata a diventare una ballerina».

ph. Ksenia Orlova

Chi sono stati i tuoi maestri di riferimento e le figure del mondo della danza che ti hanno maggiormente influenzata?

«Quando ero bambina non avevo idoli nel balletto. Non mi sono mai ispirata a nessuna. Volevo essere unica e diversa da chiunque altro. Nutro riconoscenza verso i miei insegnanti del College e del teatro, hanno lavorato molto con me. A scuola insegnavano l’accademismo e a teatro la mia insegnante Eleonora Steblyak mi ha aiutato ad aprirmi come attrice. Finora ho lavorato con attenzione e precisione su ogni gesto e movimento».

Hai utilizzato la tecnica dell’osservazione per raggiungere una tale perfezione e grazia?

«Questo pezzo richiede una preparazione speciale. Sembra facile, ma non lo è affatto. La mia maestra mi ha chiesto di andare al lago a guardare i cigni: come nuotano, come si muovono… ci sono tante versioni di questo numero! Io e il mio insegnante abbiamo realizzato Il lago dei Cigni adattandolo alle mie capacità. Lavoriamo sulle mie mani da molto tempo! È la cosa più importante. Abbiamo anche lavorato molto sull’immagine. Cerco di trasmettere la voglia di vivere e la lotta contro l’inevitabile morte».

ph. Oleksandra Zlunitsyna

Che rapporti hai con gli altri ballerini della compagnia? C’è amicizia tra voi?

«C’è un’atmosfera amichevole a teatro. Soprattutto tutti hanno iniziato a sostenersi a vicenda durante la Guerra. Sono molto contenta di aver deciso di tornare a Kiev e all’Opera Nazionale dell’Ucraina».

Che cosa rappresenta la danza per te?

«Amo il balletto, la danza è la mia vita. Non posso mangiare quello che voglio. Non faccio molte altre cose che possono fare persone che svolgono altre professioni. Ma non me ne pento… il lavoro mi porta piacere e gioia! Spero che il pubblico vada via dalle le mie esibizioni con nuove emozioni».

ph. Katerina Kornienko

***l’intervista a Olga Golytsia è stata tradotta dalla lingua Inglese all’Italiano.

***Le foto sono state concesse alla giornalista Luciana Satta dalla sign.ra Olga Golytsia, che ha autorizzato la pubblicazione per lo speciale a lei dedicato. Questo testo e gli scatti non possono essere riprodotti né pubblicati, in tutto o in parte, senza l’autorizzazione dell’autrice che ne detiene i diritti. Il testo e il materiale fotografico sono apparsi sulla rivista Iod (numero di aprile 2023).

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SIMONE CRISTICCHI in FRANCISCUS

Il folle che parlava agli uccelli apre la stagione del CEDAC

Riflessioni, canzoni inedite, domande si alternano in un gioco di chiaroscuri. Con Franciscus/ Il folle che parlava agli uccelli Simone Cristicchi porta sul palco del teatro Verdi di Sassari per la prima del CEDAC, tutta la sua sensibilità, alter ego di «Franciscus, il rivoluzionario, l’estremista, l’innamorato della vita. Franciscus che visse per un sogno. Il folle che parlava agli uccelli e che vedeva la sacralità e la bellezza in ogni dove: nel volto di una persona, nello sguardo di un animale, ma anche nel sole, nella morte, nella terra su cui camminava insieme agli altri».

Al centro della scena, i grandi temi dell’Umanità: la vita e la morte, la gioia del donarsi, il dolore, la guerra interiore e tra gli uomini. La follia. Perdersi per ritrovarsi. E uno scambio intenso e profondo con il pubblico.

ph. Roberto Pintus

 

Simone Cristicchi veste Francesco D’Assisi di contemporaneità, attraverso i suoi occhi di artista viscerale, quando toglie il copricapo e svela se stesso con le sue mille domande sul senso dell’esistenza e attraverso lo sguardo di Cencio, personaggio centrale, quando il copricapo lo indossa insieme agli abiti di tela di sacco.

Foto di Roberto Pintus

Cencio, lo “straccivendolo”, voce narrante, non comprende la scelta di Francesco, è specchio dei suoi detrattori. E’ alla fine, nella sofferenza, che coglie il significato del suo messaggio.

ph. Roberto Pintus

«Mi era necessario approssimarlo , sia nel senso di avvicinarlo, tramite approfondite letture, conferenze, e visite nei suoi luoghi; sia nel senso di semplificarlo, per poterlo comprendere e sentire accanto, correndo il rischio di essere impreciso, insolente, insolito – ha spiegato Cristicchi -. Così è uscita fuori l’idea che ho di lui. Il mio Francesco. Non riuscivo a mettermi nei suoi panni, perciò me li sono fatti prestare da Cencio».

 

ph. Roberto Pintus
ph. Roberto Pintus

di e con Simone Cristicchi
scritto con Simona Orlando
canzoni inedite di Simone Cristicchi e Amara
musiche e sonorizzazioni Tony Canto
scenografia Giacomo Andrico
luci Cesare Agoni
costumi Rossella Zucchi
aiuto regia Ariele Vincenti
produzione Centro Teatrale Bresciano, Accademia Perduta Romagna Teatri
in collaborazione con Corvino Produzioni

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“VOLEVO ESSERE UNA FARFALLA”

“La lunga notte” dei Figli d’Arte Medas

di Luciana Satta

La lunga notte di Raffaella. Dove le emozioni e i ricordi vagano, alla ricerca di un “perché”. Dove lei attende che qualcuno un giorno sciolga i nodi della matassa dei suoi pensieri che all’imbrunire si ripresentano per terminare all’alba, quando suo padre la chiama per andare a scuola. Ha dodici anni, Raffaella. Come una farfalla, immagina di volare via. Di librarsi in volo e di liberarsi da quel piccolo mondo che non la comprende, fatto di gesti e parole crudeli che arrivano dai coetanei, ma anche dagli adulti.

Cala la notte e, puntuale, la giostra dei suoi pensieri non si arresta.

Così una ragazzina di dodici anni diventa come uno specchio, di fronte al quale lo spettatore non può riflettere se stesso con indifferenza. Lo spettacolo invita a rompere le barriere del moralismo e dei pregiudizi sul tema dei Disturbi Specifici del Linguaggio. La difficoltà di comunicazione di una ragazza che si affaccia al mondo con difficoltà e sofferenza diventa specchio della mancanza di comunicazione dei nostri tempi. Il non capire e il non capirsi. Respingere ciò che è “altro” rispetto a noi, a causa delle nostre abitudini radicate e strutturate.

L’attrice Sofia Quagliano ph. Luciana Satta

«Vengo qui un po’ come un pellegrino – afferma il regista, Franz di Maggio, al termine dello spettacolo -. Sono ligure, di adozione, poi ho vissuto a Pavia. Per tanti anni ho visto gli spettacoli di Gianluca Medas e ho sognato un giorno di poter lavorare con lui. Un giorno ha fatto una cosa straordinaria: ha preso un aereo, è venuto a Pavia e mi ha chiesto di fare la regia di questo spettacolo. Sono onorato e felice di questa occasione che mi ha dato e onorato e felice di lavorare con queste persone che sono qui accanto, Sofia Quagliano e Nicola Agus».

Il polistrumentista Nicola Agus ph. Luciana Satta

La Lunga notte – Volevo essere una farfalla (di Gianluca Medas, regia di Franz di Maggio, con Sofia Quagliano, musica dal vivo Nicola Agus) è andato in scena sabato 23 novembre ed è inserito nel cartellone del XXXIV Festival Etnia e Teatralità della Compagnia Teatro Sassari.

Un altro momento dello spettacolo al teatro Astra ph. Luciana Satta

 

***Questo testo non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza la citazione della fonte

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ALESSANDRO BARICCO in “ABEL CONCERTO”

di Luciana Satta

Farsi trasportare dalla musica, dalle parole. Perché Abel Concerto fa “entrare lo spettatore in un fiume”. “Lasciate andare”, dice Alessandro Baricco al pubblico del Teatro Verdi, glielo sussurra, con quella voce calma che lo fa entrare in una danza, in un vortice dove la frase e il suono si fondono e si confondono, scivolano, lo accompagnano, lo cullano in un mare di grazia e di leggerezza. Insieme allo scrittore torinese, Cesare Picco, Roberto Tarasco e Nicola Tescari. “Ho scelto tre musicisti che mi piacciono molto, perché mi accompagnassero, e sono a loro molto grato”.

“Non è importante se avete letto il libro, non è neanche molto importante se capite bene la storia… Ho pensato di scegliere alcune pagine.

Sono colori, paesaggi, personaggi qua e là, frasi, cose che accadono ma, soprattutto, mi piacerebbe che entraste in questa specie di corrente di suono di questo Western”.

“Quando pensavo a questo libro non sapevo bene esattamente cosa volessi fare, ma avevo in mente una storia di pirati. Seguivo queste storie. Ero stato su un grande fiume sudamericano, enorme, caldo terrificante… alla fine ho scelto un Western, è un genere magnifico, io lo amo molto. È la storia di un pistolero fantastico, che per strada perde le ragioni per sparare. Ma le perde con leggerezza e gioia”.

Abel Concerto è “per Baricco un’esperienza sonora”, per noi che ascoltiamo rapiti un dialogo intimo. “I narratori sono strani – afferma lo scrittore – Porto qua questo mondo strambo che ogni tanto mi nasce in testa”.

Credits: Mattia Uldanck

Baricco ritorna a Sassari dopo tanto tempo, “dopo un secolo”, dice lo scrittore. Dal suo primo romanzo, Castelli di Rabbia (1991), a Oceano mare, da Novecento, tradotto in ventitré Paesi, a Seta, il suo successo è stato enorme. “E’ strano, noi scriviamo libri e si pensa spesso che scriviamo cose che ci sono successe. Non vorrei che mi prendeste per pazzo, ma voi non avete idea di quante cose si scrivono e non ci sono successe, ma ci succederanno. Spesso sono Profezie”.

L’evento al teatro Verdi di Sassari è stato organizzato da Le Ragazze Terribili in collaborazione con Mister Wolf per la quinta edizione del Festival letterario Fino a Leggermi Matto-Musica tra le pagine. Abel Concerto è una produzione Savà Produzioni Creative e Feltrinelli, in collaborazione con Scuola Holden, che nel 2024 celebra 30 anni dalla fondazione.

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LILIANA, la figlia di Totò

(Raccontata dalla nipote, Elena Alessandra Anticoli De Curtis)

*Anteprima del III capitolo dell’opera L’Arte di essere Figli

di Luciana Satta

https://www.carlodelfinoeditore.it/scheda-titolo.aspx?isbn=9788893613040

Liliana De Curtis con suo padre, Totò

Liliana e suo padre Antonio. Uno sguardo per capirsi. Un legame che è come una coperta che ripara e protegge in quei momenti della vita in cui si sente freddo. Il prima e il dopo, la vita e la morte, spartiacque tra la presenza e l’assenza di un’artista immenso che rimane, a dispetto del tempo che passa e come in un fermo immagine, nel cuore e nell’affetto del suo pubblico, conquistando così il dono dell’immortalità. Una rete di protezione che, quando manca, lascia un senso di vuoto incolmabile e una struggente nostalgia in Liliana, per quel rapporto così stretto e speciale tra padre e figlia. Questa è la storia di Liliana De Curtis. La racconta per lei sua figlia, Elena Alessandra Anticoli De Curtis, nipote di Totò, erede di una memoria storica custodita negli anni da sua madre (scomparsa il 3 giugno 2022, n.d.r.). […]

Se la vuoi scoprire, continua a leggere il terzo capitolo del mio saggio L’Arte di essere Figli. Con foto inedite e l’intervista esclusiva alla nipote, rilasciata il 1° maggio 2022, quando Liliana De Curtis era ancora in vita. Ha vissuto con la figlia Elena Alessandra, che si è presa cura di lei fino all’ultimo suo giorno). https://www.carlodelfinoeditore.it/scheda-titolo.aspx?isbn=9788893613040

***Questo testo e il materiale fotografico concessi in via esclusiva per specifica pubblicazione non possono essere riprodotti. Non si autorizza alcun tipo di riproduzione o pubblicazione. Ringrazio la sign.ra Elena Alessandra Anticoli De Curtis per l’immensa disponibilità e gentilezza.

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TONI SERVILLO L’incanto della Notte dei poeti

A Nora Toni Servillo legge Grazia Deledda

Un viaggio tra le righe e i versi della scrittrice Premio Nobel per la Letteratura

Toni Servillo legge Grazia Deledda (ph. Luciana Satta)

Sarà quello scenario così unico in Sardegna, con la sua torre che dalla cima del promontorio domina l’antica città di Nora e il mare intorno è una cornice impressionista. Sarà il vento salino che ti accarezza la pelle e la luce del tramonto che ti illumina gli occhi. Sarà l’incanto del Teatro romano, che si apre alla vista tra le rovine dell’antica civiltà fenicio punica, e poi romana. Sarà che La Notte dei poeti del CEDAC festeggia quarant’anni e che stasera uno dei più grandi attori italiani legge Grazia Deledda. Sarà, ma questa è una serata imperdibile. Qui oggi si respira arte. Qui, dove il tempo è sospeso. Silenzio, parlano i poeti.

“Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi correggilo e mandalo per la strada dei monti.
Se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora.
Se va per la terza volta, lascialo in pace perché è un poeta”.

(Toni Servillo legge grazia deledda al teatro romano di nora)
Toni Servillo legge Grazia Deledda (Videoclip di Luciana Satta)
La XL edizione de “La Notte dei poeti del CEDAC (ph. Luciana Satta)
(ph. Anna Brotzu)
(ph. Luciana Satta)

Vi segnalo i prossimi appuntamenti:

Il cartellone

Il XL Festival “La Notte dei Poeti” è organizzato dal CeDAC / Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo dal Vivo in Sardegna con il patrocinio e il sostegno del MiC / Ministero della Cultura, dell’Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport della Regione Autonoma della Sardegna e del Comune di Pula con il contributo della Fondazione di Sardegna e il prezioso apporto di Sardinia Ferries, che ospita artisti e compagnie sulle sue navi.

***un ringraziamento particolare alla cara collega Anna Brotzu, sempre preziosa.

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LELLA COSTA

Parole che parlano di donne

L’attrice Lella Costa

di Luciana Satta

Non dimentica mai le ragioni per vivere, il tema dell’identità e della memoria, la solidarietà verso gli altri popoli e lo dimostra con il suo costante impegno civile a favore, soprattutto, di Emergency. Ma Lella Costa, una delle attrici più caratteristiche della scena teatrale italiana, amata dalla critica e dal pubblico per la sua intelligenza e ironia, non dimentica mai, soprattutto, i diritti delle donne, sia sul palcoscenico sia nella vita. «Io sono la mia storia, la mia formazione – spiega – e sono arrivata tardi a fare questo mestiere, perché prima ho fatto il liceo, l’università, la politica. Questo è il mio bagaglio, il mio vissuto, che mi porto addosso e a cui non rinuncerei mai».

Ma ha avuto difficoltà all’inizio della sua carriera?

Come tutti… io ho avuto la grande fortuna di capire che volevo fare il teatro e lo spettacolo dal vivo, tra l’altro facendo l’autrice, quindi non mi sono messa nella competizione schiacciante, divorante dei provini, non ho mai cercato scritture televisive e nemmeno cinematografiche. Per una donna è comunque più faticoso. Io lavoro dall’inizio della mia carriera con una piccola agenzia che è anche la mia casa di produzione, che è di donne, oltretutto, e abbiamo cominciato con un piccolo spettacolo e piano piano siamo andate avanti.

Questo penso sia molto femminile: la capacità di unire concretezza e positività.

Quindi lei pensa che esista la solidarietà tra donne?

La misoginia è una delle armi preferite della cultura occidentale, non vedo perché noi dobbiamo praticarla. È vero che siamo comunque in una situazione di inferiorità, perché dobbiamo conquistarci maggiore credibilità, è ovvio… sono le cosiddette guerre tra poveri… tra noi donne viene incitata la competizione, che spesso sfocia in rivalità, in aggressività. È chiaro che non ritengo che l’appartenenza al genere femminile in sé sia un valore assoluto, però io tendo comunque a privilegiare le donne come interlocutrici e, soprattutto, a trovare le attenuanti, perché credo che per le donne sia comunque più difficile…

In uno dei suoi spettacoli, “Alice una meraviglia di Paese”, ci racconta di una bambina che si sente a disagio, che ha la sensazione di essere sempre o troppo grande, o troppo piccola, o troppo grassa, o troppo magra… sensazioni e timori che ogni ragazza, ogni donna, ha provato nella propria vita.

“O troppo alta, o troppo bassa,
le dici magra, si sente grassa,
son tutte bionde, lei è corvina,
vanno le brune, diventa albina.
Troppo educata! piaccion volgari!
Troppo scosciata per le comari!
Sei troppo colta e preparata,
intelligente e qualificata,
il maschio è fragile, non lo umiliare,
se sei più brava non lo ostentare!
Sei solo bella ma non sai far niente,
guarda che oggi l’uomo è esigente,
l’aspetto fisico più non gli basta,
cita Alberoni e butta la pasta.
Troppi labbroni, non vanno più!
Troppo quel seno, buttalo giù!
Sbianca la pelle, che sia di luna
Se non ti abbronzi, non sei nessuna!
L’estate prossima, con il cotone
tornan di moda i fianchi a pallone,
ma per l’inverno, la moda detta,
ci voglion forme da scolaretta.
Piedi piccini, occhi cangianti,
seni minuscoli, anzi, giganti!
Alice assaggia, pilucca, tracanna,
prima è due metri poi è una spanna
Alice pensa, poi si arrabatta,
niente da fare, è sempre inadatta
Alice morde, rosicchia, divora,
ma non si arrende, ci prova ancora.
Alice piange, trangugia, digiuna,
è tutte noi,
è se stessa, è nessuna”.

(Tratto dal monologo “Alice una meraviglia di Paese”)

Secondo lei perché le donne vivono questo senso di inadeguatezza?

Lella Costa in “Alice una meraviglia di Paese”

Io penso che si sia marciato su questa ruolizzazione di genere così pesante, proprio per mantenere la stabilità dell’ordine sociale. Le donne vengono costrette a un ruolo che prevede un adeguamento a determinati canoni. Mi vengono in mente, ad esempio, le pubblicità dei detersivi, in cui viene data un’immagine della donna agghiacciante. Sembrano delle pazze, con le croste sui fornelli che bisogna pulire e i bucati che devono essere sempre più bianchi e, ancora, mi ricordo che un po’ di anni fa c’era un uomo che invitava la signora di turno a fare, addirittura, una gita dentro le tovaglie… noi donne dobbiamo liberarci di tutto questo, credo che l’ironia e l’autoironia siano armi indispensabili, però se la competizione deve essere fatta sul bucato più bianco, su come cucini, su come sei fisicamente, è chiaro che ti senti perennemente inadeguata. Però c’è qualcuno che su nostre potenziali insicurezze ci marcia…

Per quanto riguarda la politica… qual è la sua posizione in merito alle quote rosa?

Le quote rosa non mi piacciono pazzamente, però ho anche visto e verificato che se le quote rosa non ci sono le donne spariscono dalle liste elettorali, per cui non bastano, non garantiscono, ma se non altro sono un inizio. Credo anche che una delle cose gravi della politica sia quella di usare le donne come schermo, cioè c’è l’obbligo delle quote rosa, allora noi le mettiamo in lista ma poi non vengono sostenute e, oltretutto, facendo ricadere ancora una volta la colpa su di noi dicendo che le donne non votano le donne. Non puoi per secoli essere trattata come una minusapiens, che sa fare niente, che deve chiedere la delega maschile, perché gli uomini sanno, e poi pretendere che le donne abbiano fiducia nelle altre donne sebbene siano regolarmente sminuite, prese in giro e ridicolizzate.

 “Alice” è anche il nome di tante giovani donne che sono «nate quando i loro genitori pensavano che il mondo si potesse cambiare»… lei pensa che ci sia stato un cambiamento riguardo alla parità uomo-donna, o pensa che il cambiamento sia solo apparente?

No, il cambiamento non è apparente, ci sono in corso provvedimenti legislativi importanti. Sicuramente, però, la parità non è stata conquistata del tutto e, soprattutto, non la vedo garantita. Credo che ci siano sempre in atto nei momenti di crisi economica, in questo caso planetaria, dei tentativi di rimandare, di rinchiudere in casa le donne. I segnali sono tanti: c’è meno occupazione? Si mandano a casa le donne, indipendentemente dalle competenze. È spaventoso. Queste sono emergenze fondamentali per la società intera.  Sono assolutamente convinta che maggiori diritti e maggiori tutele per le donne siano maggiori diritti e maggiori tutele per tutti. Chi lavora in Paesi più svantaggiati, per esempio in tante zone dell’Africa, dice: “mandare a scuola un bambino significa educare un bambino, educare una bambina significa educare una comunità”… questa è una forza delle donne innegabile. Penso quindi che la parità non sia stata raggiunta, che ci sia un percorso in atto e che mai come in questo momento si debba vigilare perché venga proseguito.

(***Ho visto tante volte Lella Costa a teatro e mi ha sempre affascinato la sua abilità nell’arte della parola. Questa intervista mi fu da lei rilasciata nel 2008. La ripubblico perché le sue parole sono di un’attualità sconcertante e ogni sua risposta è un insegnamento. La scrissi per il giornale on-line donnenews e resta un bellissimo ricordo per me di un’esperienza giornalistica che mi ha dato tanto, soprattutto per tutto ciò che mi ha trasmesso l’allora direttrice della rivista, Rosanna Romano, amica e professionista che considero mia maestra. Le foto sono tratte dal web, purtroppo dopo tanti anni ho perso le mie, n.d.r.).

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