Quel giorno a Venezia
(***Clicca sul video, la musica ti accompagnerà nella lettura)
Silenzio intorno a te. Gli archi intrecciati e i loggiati dei palazzi si riflettono splendenti e vibranti nelle acque della Laguna, nelle pieghe dei calli e nel reticolo dei canali. Davanti a te la Serenissima, l’innamorata segreta di chi la sa corteggiare e quell’impressione sia lì solo per noi. Ti fermi in ascolto.
di Luciana Satta
L’obiettivo di mille fotografi non riuscirà mai a cogliere quello che stiamo vedendo, le parole dei poeti non possono rendere quel momento, quell’attimo, quel raggio di bellezza che ci è riservato e che attendeva solo noi per essere raccolto.
Venezia, incerta fra cielo e terra è lì e, come uno specchio, lascia scoperta la tua anima, ti invita a entrare nel gioco dell’infanzia eterna. Vuoi tuffarti in questo universo di immagini e di colori, dove passato e presente non hanno più confine e si confondono in una danza di chiaroscuri. Il tempo è uno spazio aperto e impalpabile.
Ti prende per mano, ti porta con sé.

Ma il tuo sguardo è già lontano, spazia oltre i giardini. Una fila di tartarughe d’oro ti porta ancora più lontano, fino al grande letto. Ti sembra impossibile che quei corpi nascano dalla pietra, ma sei a Venezia, dove tutto è vita e morte al tempo stesso. I loro volti, inesistenti, ti guardano e ti parlano di poesia.
Un uomo è sdraiato accanto a una donna e avvolge il braccio intorno alle sue spalle.

Vorresti fermarti, ma non vuoi che il gioco finisca. I tuoi occhi ti hanno già portata all’interno di una grande sala, dove un uomo su una scala dipinge accuratamente le pareti di nero, mentre nella stessa sala una donna riprende il lavoro da capo e le ridipinge di bianco. Nero e bianco si rincorrono incessantemente: non esiste dolore senza gioia.
Tu cammini e canti, mentre sei già nella stanza accanto.
Scarpe gialle, rosse, blu liberano la tua immaginazione. Vorresti indossarle per sentirti leggera.
Vai alla finestra, guardi fuori, di nuovo verso il giardino. Su una panchina di legno siede quella ragazza. Alle sue spalle un enorme pannello bianco riporta una scritta: “La platea dell’Umanità”. Il suo viso è come un vetro attraverso il quale leggi la scritta: “La platea dell’Umanità”, tradotta in tutte le lingue del mondo. Lei è immobile, lo sguardo assente, fissa un punto preciso nello spazio senza limite, occhi ingigantiti a dismisura, occhi che parlano. Sembra non voglia più alzarsi, andare via. Le siedi accanto e come lei stringi forte le mani ai bordi della panchina.
Accenni un sorriso e ti scatto questa fotografia.
Mentre ti guardo ripenso a quella canzone: “perché sono le sfumature a dare vita ai colori/ e a farci tornare in mente le cose più pure dei giorni migliori”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
Questo testo non può essere riprodotto, in tutto o in parte, senza la citazione della fonte e l’autorizzazione dell’autrice. Non copiare, cita la fonte!