“Se non puoi essere la sposa mia,
sarai almeno la mia pianta” (Apollo)




di Luciana Satta
Dafne, Ipazia, Francesca da Rimini, Giovanna D’arco, Anna Bolena, Indira Gandhi. Gli esempi di donne vittime di femminicidio sono molteplici, nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura, a dimostrare come il fenomeno della violenza sulle donne affondi le sue radici in epoche lontane.
Donne escluse dalla vita politica, dall’istruzione, private della propria individualità, appendici dell’uomo, incapaci di agire autonomamente.
Nelle Metamorfosi di Ovidio Apollo si invaghisce perdutamente di Dafne. La insegue senza tregua, ma Dafne chiede a suo padre Peneo di essere trasformata in albero d’alloro pur di sottrarsi alla passione non corrisposta. Da quel momento la pianta diventa sacra per Apollo. D’alloro sarebbero stati incoronati in seguito i vincitori e i condottieri. «Se non puoi essere la sposa mia, sarai almeno la mia pianta”. “E l’alloro annuì con i suoi rami appena spuntati e agitò la cima, quasi assentisse col capo”.

Grande esempio di libertà di pensiero e di emancipazione femminile fu Ipazia d’Alessandria, scienziata e filosofa greca. Le sue parole “Se mi faccio comprare non sono più libera, e non potrò più studiare: è così che funziona una mente libera” hanno fatto la storia.
Risale al 415 la sua uccisione, per mano di fanatici religiosi, in un’epoca fortemente influenzata da Aristotele. Scrive Aristotele: “Così pure nelle relazioni del maschio verso la femmina, l’uno è per natura superiore, l’altra inferiore, l’uno comanda, l’altra è comandata – ed è necessario che tra tutti gli uomini sia proprio così”.

Nella Grecia delle poleis, la donna era educata alle mansioni domestiche fino ai 13 anni e poi veniva data in sposa. Le donne non avevano il diritto di cittadinanza ed erano escluse dalla vita politica. Alcune tragedie greche lo testimoniano. La donna è istinto, portatrice di affetto. In un certo senso “pericolosa”, in quanto elemento destabilizzante rispetto all’ordine incarnato dall’uomo. Antigone, ad esempio, viene imprigionata per aver sfidato il re di Tebe, e poi muore suicida; oppure le protagoniste della tragedia “Le Troiane”, di Euripide, il dramma che più di ogni altro mette in scena la violenza contro la donna. Ecuba, moglie del re Priamo. Andromaca, sposa del valoroso Ettore morto in duello contro Achille. Cassandra, Figlia di Ecuba e di Priamo. Su ciascuna di loro incombe un destino di dolore: le donne dei vinti diventano bottino di guerra dell’esercito greco vincitore.
Uno degli episodi più significativi della storia di Roma e che mostra la completa subalternità della donna rispetto all’uomo, l’immagine della donna – merce, è il noto Ratto delle Sabine. Romolo escogita un piano per popolare la città di Roma. Organizza un sontuoso banchetto in onore del re sabino Tito Tazio. Durante la festa alcuni giovani romani rapiscono le donne sabine. Ma nel caos generale è stata per errore rapita anche una donna sabina già sposata, Ersilia. Romolo, primo re di Roma, viene avvertito e rimedia all’errore prendendola in moglie. Una fanciulla poi di nome Tarpea, apre ai sabini le porte della città affinché riescano, alla guida del loro re, appunto, Tito Tazio, a liberare i propri familiari. Il destino di Tarpea è orribile: sarà schiacciata sotto gli scudi dei romani. Da qui nasce la leggenda sulla cosiddetta rupe Tarpea, rupe dalla quale venivano gettati i condannati a morte con l’accusa di alto tradimento dello Stato.
È storia nota poi che le donne riescono a fermare i due schieramenti nemici, frapponendosi tra loro. Si giunge così alla pace. Romolo e Tito Tazio regnano sulla città di Roma e i Sabini e Romani si fondono in un solo popolo.

Un interessante approfondimento in tema di femminicidio in epoca romana è certamente quello condotto dalla dottoressa Anna Pasqualini, docente di Antichità romane. La studiosa ha messo in luce una serie di casi di femminicidio nell’antica Roma, attraverso lo studio delle epigrafi latine. La docente, ad esempio, ha svelato dall’analisi di un epitaffio la vicenda di Giulia Maiana, che viveva in Francia, a Lione. L’epitaffio recita così: “Donna specchiatissima uccisa dalla mano di un marito crudelissimo”.
La letteratura è ricca di esempi celebri di violenza di genere: ad esempio la figura di Desdemona in Shakespeare, che lascia la casa di suo padre per sposare Otello, ma sceglie di non chiedere a suo padre il consenso per sposare il Moro di Venezia, decide in autonomia, per poi finire uccisa per mano del suo stesso marito, accecato dalla gelosia.
E poi proseguendo nell’analisi di esempi celebri, non possiamo naturalmente dimenticare Dante e il canto V dell’Inferno, il noto canto di “Paolo e Francesca”. Al v. 106 Francesca da Rimini racconta a Dante: “Amor condusse noi ad una morte”. Figlia di Guido da Polenta il Vecchio, signore di Ravenna, Francesca andò sposa al rozzo e deforme Gian Ciotto Malatesta, signore di Rimini, dal quale ebbe una figlia. Innamorata di suo cognato, Paolo Malatesta, fu con lui uccisa dal marito, tra il 1283 e il 1286. L’autore inserisce Paolo e Francesca nell’Inferno perché mentre per la società del tempo, per la chiesa, il peccato di adulterio viene condannato, Dante sembra avere compassione di lei e in un certo senso la assolve. Anche se in realtà alcuni ritengono che il termine pietà usato da Dante, non indichi “compassione, ma turbamento angosciato.
“Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende”.

Come dimenticare poi il dramma di Anna Bolena – uno dei più efferati femminicidi della storia. Seconda moglie di Enrico VIII, fu accusata dal marito di presunte infedeltà coniugali e condannata a morte. In segno di clemenza il re optò per decapitazione in sostituzione della la condanna al rogo, al posto di quella per, dunque permise che venisse usata la spada e non la comune scure. La spada, arma più nobile, degna di una regina. Quel mattino il sovrano andrà a caccia con la corte, il giorno dopo si fidanzerà con quella che diventerà poi la sua terza moglie.

Donne – streghe. Tra il XV e il XVIII secolo dilaga in tutta Europa per ben quattro secoli la fase più violenta della cosiddetta Caccia alle Streghe. Inizia in Germania e in Italia e si espande poi rapidamente in Francia, in Inghilterra, nel nord Europa, in Spagna. Esempio su tutti della fine terribile a cui venivano destinate le donne, fu Giovanna D’Arco, l’eroina nazionale francese condannata al rogo a soli 19 anni. La “pulzella d’Orleans”, nella Guerra dei Cento Anni porta le truppe francesi alla vittoria contro l’assedio degli Inglesi. Ma viene catturata e venduta agli inglesi e processata per eresia. Ma nell’Ottocento l’attivista americana per i diritti delle donne Matilda Joslyn Gage avanza per prima la tesi che la caccia alle streghe fosse in realtà strumento di repressione e sottomissione delle donne.
Il mondo dell’arte racconta da secoli la violenza di genere. Ci restituisce, ad esempio, la storia di Artemisia Gentileschi, talentuosa pittrice del Seicento. La sua attività inizia nella bottega del padre e lì termina, in seguito alla violenza di Agostino Tassi, suo maestro di prospettiva. devono subire pesanti condanne morali, i metodi inumani del Tribunale dell’Inquisizione, come la terribile tortura della “Sibilla”, alla quale la pittrice fu sottoposta.

E ancora il ritratto di Costanza di Gian Lorenzo Bernini immortala quel volto di donna nella sua bellezza eterna. Il volto di una donna ritratta in un momento d’intimità, in abiti semplici. Costanza era moglie dello scultore lucchese Matteo Bonarelli, collaboratore di Bernini alla fabbrica di San Pietro. Quando si conoscono, nel 1638, Costanza ha 22 anni ed è sposata da quattro, Bernini ha 38 anni. Ma lo scultore vede la donna uscire dalla casa di Luigi, fratello dello stesso Bernini. Gian Lorenzo attua così la sua vendetta: assolda un servo che deturpa per sempre il volto della donna.

Gli esempi sono molteplici nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura. Co dimenticare la figura di una donna coraggiosa, Indira Gandhi, premier indiano in carica dal 1966 al 1977 – assassinata a Nuova Delhi il 31 ottobre del 1984 dalle sue guardie del corpo di etnia Sikh. Sette proiettili colpiscono l’addome, dieci il petto e altri arrivano dritti al cuore.
“Il lavoro di un uomo è fra il sorgere e il tramontare del sole. Quello della donna non finisce mai”. (Indira Gandhi)

© RIPRODUZIONE RISERVATA
2 pensieri riguardo “La violenza di genere nel mito, nella storia, nell’arte, nella letteratura”